oh it's such a perfect day i'm glad i spent it with you..

Ellie & Noah

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    Da quando ci eravamo trasferiti a Newport, con i miei genitori ero già tornata a Burbank almeno dieci volte. Per vedere i miei fratelli, per uscire con gli amici, per stare con Jake prima della rottura definitiva del nostro rapporto nè-carne-nè-pesce. Ogni volta provavo l'immenso desiderio di rimanere lì, paralizzandomi all'idea di dover rimontare in macchina e tornare in un posto completamente deverso, all'interno del quale ancora non riuscivo a sentirmi veramente a casa. In cui avevo la sensazione di essere un pesce fuori dall'acqua, che si dimena e si dibatte per tentare inutilmente di respirare aria, operazione che non è nato per mettere in pratica. Questa volta, invece, era stato diverso. Avevo saltato la scuola per cinque giorni, tornando a Burbank con la mia famiglia per la nascita della mia nipotina, Vera. Una minuscola bambolina piena di capelli rossicci, lo stesso colore dei miei e di quelli di mio fratello quando era piccolo, prima che si scurissero diventando praticamente castani. La differenza, rispetto a tutte le altre volte, era che quando sono salita sul sedile posteriore dell'auto di mio padre, salutando mio fratello e sua moglie dal finestrino, non mi ero sentita triste, nè ansiosa o abbattuta. Ero felice per averli visti, per aver tenuto in braccio mia nipote, per aver passato del tempo con la mia famiglia e, allo stesso tempo, ero elettrizzata all'idea di tornare. E non certo per studiare storia o per il club dei fumetti, intendiamoci. Comunque, ero tornata solo la sera prima e per quel giorno, un sabato pieno di sole, dovendo escludere la scuola chiusa nel week end, avevo deciso di optare incredibilmente per la spiaggia. Avevo resistito una sola ora, sdraiata su un piccolo telo leggero, con un berretto in testa e gli occhiali da sole ben calcati sul naso. Avevo deciso di cedere alla tortura perchè mio fratello aveva passato quattro giorni di seguito prendendomi in giro per il fatto che una vera cittadina di Newport Beach non dovrebbe riflettere la luce del sole a causa del biancume della pelle, accecando chiunque nel raggio di cinquanta metri. Come detto, avevo provato per testardaggine, ma avevo ceduto fin troppo presto, anche solo per prendere un po' di colorito. Ero risalita in fretta e furia sul puntile, infilandomi pantaloncini a righe bianche e rosse e una maglietta gialla sopra ad un costume da bagno dello stesso colore, stile canarino. Ed è lì che mi trovavo, da almeno mezz'ora, affacciata sul pontile con lo sguardo perso verso il mare agitato, surfisti alle prese con le onde e ragazze in bikini che invidiavo profondamente per la loro nonchalance nel mostrare le proprie grazie. Presi distrattamente dallo zainetto che avevo appoggiato ai miei piedi una bottiglietta d'acqua, rendendomi conto solo una volta ingurgitata, che era diventata calda quasi quanto una camomilla, ma molto meno buona. Decisamente urgeva un ricambio di liquidi, o, meglio ancora, qualcosa di strapesante e fresco come un gelato al tiramisù. Svuotai la bottiglia direttamente nell'acqua che ondeggiava sotto di me, oltre la balaustra del pontile, sistemando poi il contenitore di plastica in un cestino a due metri scarsi. Mi piacevano, quelle onde spumose, ma solo osservate da lontano: quello era uno dei motivi per cui, nonostante il caldo, avevo deciso di non fare il bagno. Avevo una paura micidiale dei cavalloni, quando c'era da nuotarci in mezzo. Ero convinta che con la mia mancanza di grazia e di stile anche nel nuotare, sarei affogata subito, alla prima onda. Invece viste dall'alto, in tutta sicurezza, erano uno spettacolo dal quale non riuscivo a staccarmi. Motivo per cui, invece che raddrizzare la schiena e cercarmi una gelateria o un bar, rimasi piegata in avanti, con i gomiti appoggiati alla balaustra e lo zainetto stretto tra i piedi, con gli occhiali da sole a tenermi indietro i capelli.

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    Edited by ‚forwood - 7/8/2012, 17:15
     
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    Questi ultimi giorni erano stati strani e insoliti. Definire strana la presenza di un padre in casa poteva anche non sembrare tanto normale come cosa, ma se si trattava di mio padre allora era più che normale. A scuola tutti mi conoscevano come "il figlio sfigato di Benjamin Hayes" che, al contrario mio, era apprezzato e stimato da tutta Newport. A me questa cosa non mi aveva mai toccato, se proprio dovevo dirla tutta preferivo essere uno sfigato che una persona superficiale come lui. Gli volevo bene, questo era indiscutibile, in fondo era pur sempre mio padre, ma non avevo molta stima di lui come padre, insomma non c' era quasi mai a casa, ero praticamente cresciuto solo con mia madre con qualche comparsa del giornalista famoso. Quando ero piccolo, era fico avere un padre conosciuto da tutti, ero circondato da un sacco di bambini e pensandoci bene la mia vita sociale non era stata più attiva di quei tempi. Crescendo, però, mi resi conto che avevo diritto ad avere entrambi i genitori, e me ne fregavo altamente se questa sua continua assenza mi faceva fare la bella vita, io non gli avevo chiesto un bel niente. Non ci tenevo a vivere a Newport in mezzo a tutta questa gente che non aveva niente a che fare con me, in una casa dove ci si poteva anche perdere volendo, non volevo tutto questo eppure lui continuava a sacrificare la propria famiglia per tutto ciò. Secondo me, lo faceva solo e unicamente per sè stesso, perchè aveva sempre messo al primo posto il suo lavoro e la vita da nomade che faceva lo affascinava più di quanto pensasse; per non parlare di mia madre che lo difendeva ogni qual volta che usciva il suo nome, a priori, senza neanche ascoltare cosa avessi da dire a riguardo. Tra l' altro ci avrei messo la mano sul fuoco che la tradiva, non pensavo queste cose solo perchè ero incazzato con lui o perchè ero ingiusto. Insomma, vedersi una volta ogni tanto e sentirsi solo al telefono non era un granchè, e un matrimonio non si portava avanti in questo modo, forse loro credevano che fossi stupido o troppo egoista per accorgermi che tra di loro qualcosa non andava, ma la verità era che anche un bambino se ne sarebbe accorto. Erano ormai due giorni interi che stava a casa, ben quarantott' ore che lo vedevo gironzolare per casa in ciabatte e dovevo ammettere che mi sembrava tutto molto strano, questo perchè non ero abituato. Quanto sarebbe rimasto a Newport non lo sapevo, in realtà neanche lui lo sapeva, ma avevo la sensazione che da un momento poteva andarsene e l' avrei rivisto chissà tra quanto. E la cosa peggiore era che non lo soffrivo per niente, quasi non me ne importava di quando se ne sarebbe andato. Stamattina mi ero alzato più tardi, dopo tutto era sabato e potevo permettermi di alzarmi direttamente nel pomeriggio, ma non era da me, o almeno non per oggi. Avrei volentieri passato tutto il giorno in pigiama davanti alla televisione o in camera mia a leggere qualche vecchio fumetto, ma la presenza di mio padre rovinava il mio spirito solitario. Quindi decisi già in partenza di uscire, non sapevo dove sarei andato e cosa avrei fatto, l' unica cosa certa era che sarei uscito. Mi buttai sotto il getto d' acqua della doccia godendomi quei pochi istanti di tranquillità mattutina, dopo i quali sapevo che mi avrebbe aspettato la chiacchierata padre-figlio della giornata, alla quale - ovviamente - avrei voluto scappare. Uscito dalla doccia, mi vestii e sistemai al volo per poi scendere giù in cucina. "No, ti ho già detto che è impossibile girare un servizio del genere..." Ed eccolo lì, a passeggiare per la cucina avanti e indietro mentre parlava al telefono con qualche collega. Non si smentiva mai: lavoro, lavoro e lavoro. Meglio così! - pensai tra me e me, in effetti potevo fare colazione senza che si mettesse a parlare di cose senza senso. Salutai entrambi i miei genitori con un cenno della mano, un saluto privo di entusiasmo, e andai ad aprire il frigo per versarmi in un bicchiere un po' di succo di frutta. Avrei fatto colazione con quello, visto che il latte richiedeva più tempo rispetto a questo, e una ciambella zuccherata. Mi sedetti sullo sgabello della cucina cercando di essere il più trasparente possibile, d' altronde mi riusciva benissimo anche a scuola. Ero un campione in questo, sapevo mimetizzarmi bene come un camaleonte e riuscivo a passare inosservato. Questo però non funzionava se mi trovavo in una cucina con sole due persone. Mia madre mi guardava da lontano come se volesse lanciarmi dei messaggi in codice che io mi limitavo ad ignorare, mio padre invece attaccò troppo presto al cellulare e cominciò a rivolgermi la parola. "Ehi, buongiorno! Stavo pensando di andare a cavalcare qualche onda, che ne dici?" Davvero pensava che fare surf insieme avrebbe ripulito la sua coscienza sporca di cattivo padre? Non funzionava così! "Io odio il surf!" dissi con aria stizzita e noncurante, alzandomi dallo sgabello anche se non avevo ancora finito di mangiare la mia adorata ciambella. Bevvi il succo tutto d' un sorso sbrigandomi, non avrei fatto surf con lui né qualsiasi altra attività. Non conosceva neanche i miei interessi, i miei gusti, non sapeva niente di me se non le cose basilari come la data di nascita, ma dubitavo anche su questa. "Esco, ci vediamo a pranzo." mi congedai uscendo di casa, dimenticandomi lo skateboard in camera. Non potevo rientrare in casa per andarlo a prendere, mi avrebbe proposto qualche altra stupida attività da svolgere insieme, quindi dovetti accontentarmi di fare due passi. Raggiunsi il pontile in poco tempo, in fondo abitavamo quasi sulla spiaggia e dal balcone della mia cameretta si poteva vedere l' oceano. Cibo! pensai tra me e me non appena arrivai sul pontile, di fronte alla gelateria. Non avevo ancora deciso cosa fare, ma sicuramente mi serviva qualcosa da mangiare che fosse anche fresco, visto il caldo che faceva. Mi guardai intorno come un pesce fuor d' acqua, e in effetti un po' lo ero. La maggior parte della gente era mezza nuda, con solo il costume addosso e passeggiava allegra e spensierata, mentre io avevo un jeans e una t-shirt addosso. Fu in quel momento che scorsi sulla balaustra del pontile qualcuno di familiare, troppo familiare per fare finta di niente. Vista così di profilo mi sembrava proprio lei, le probabilità che mi sbagliassi e che facessi una figura di merda erano altissime, ma negli ultimi giorni non l' avevo vista per niente neanche a scuola, quindi mi avrebbe fatto piacere se fosse stata lei. "Ellie?" chiesi con tono sorpreso e insicuro al tempo stesso una volta raggiunta sul pontile. Doveva essere per forza lei, era praticamente impossibile confondere una bellezza come la sua in mezzo a tutte le ragazze stereotipate di Newport.


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    Edited by ' rainbow - 8/8/2012, 15:39
     
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    Consideravo l'essere cresciuta in mezzo a due fratelli più grandi una sorta di benedizione. Non solo per il lato 'pratico' della situazione - l'essere protetta come la cucciola di casa, uscire spesso e volentieri con i loro amici, mancanza totale di responsabilità in caso di vasi rotti mentre si gioca a calcio in casa - ma anche per quello empatico, sentimentale. Se litigavo con mia madre o con mio padre potevo sempre chiamare Andy, il maggiore. Se avevo una cotta o problemi e domande di qualunque genere sui ragazzi e, perchè no, anche sul sesso, allora parlavo con Phil. Loro sapevano capirmi, farmi sentire amata e protetta, mi avevano insegnato tutto quello che sapevano ed erano riusciti a farmi amare tutto quello che avevano amato, dallo sport alla musica, dai film alla cucina italiana. Non conoscevo la situazione familiare di NOAH, ma se fossi stata al corrente delle sue vicessitudini, soprattutto con il padre, lo avrei spedito immediatamente dai miei fratelli. Avrebbero apprezzato un ragazzo così calmo e intelligente, probabilmente avrebbero rivisto in lui un po' della mia sana imbranataggine. Stavo ancora pensando alla piccola Vera e ai suoi capelli rossicci, con lo sguardo perso sulle onde che si infrangevano contro i pilastri del pontile, proprio sotto i miei piedi, ricoprendomi viso e spalle di minuscole goccioline di acqua salata, che sentivo appena. Incrociai le gambe una dietro l'altra, spingendomi sulle punte dei piedi per sollevarmi di qualche centimetro e sporgermi oltre la balaustra, giusto per osservare meglio un paio di ragazzi che tentavano di rimanere in piedi sulle loro tavole da surf, e senza grande successo venivano travolti dai cavalloni. Per me chi andava ad infilarsi in tali pasticci era un pazzo bello e fatto. Io non mi sarei tuffata in quell'acqua nemmeno con braccioli e ciambella gonfiabile. Ero così presa dalle mie ulucubrazioni sulla scarza mancanza d'amore per la vita dei surfisti, che mi accorsi della presenza del ragazzo al mio fianco solo quando lo sentii dire il mio nome, più come una domanda che come un vero e proprio saluto. 'Ellie?' Raddrizzai la schiena, rimettendo le piante dei piedi ben fisse sulle assi di legno del pontile, voltandomi su un fianco, ruotando di novantacinque gradi, per ritrovarmi di fronte la figura di NOAH. In quel momento non stavo pensando esattamente a lui, ma ci avevo passato su delle ore intere, mentre ero a Burbank. Prima di andare a dormire, maledicendomi per non avergli mai chiesto nemmeno un numero di telefono al quale scrivergli. Scrivergli cosa, poi, lo sapeva solo il mio cervelletto senza speranze. Probabilmente mi sarebbe bastato chiedergli notizie della scuola e dei compiti da fare, per essere contenta. Avevo tirato in ballo il suo nome anche con Phil, mentre tenevo in braccio la sua figlioletta di pochi giorni e la cullavo per farla addormentare. Mi aveva chiesto come mi sentivo, dopo aver lasciato Jake e gli avevo spiegato che stavo affrontando bene la cosa, anche grazie ad un nuovo amico. Insomma mi ero fatta un viaggio tutto mio perchè a dir la verità non ero nemmeno tanto sicura che Noah mi considerasse un'amica, a questo punto. Ci conoscevamo da troppo poco per saperlo con certezza senza chiederglielo e non potevo sperare davvero che provasse quello che provavo io ogni volta che lo vedevo: sollievo. 'Noah! Ciao.. dimenticai immediatamente i surfisti, ritrovandomi a sorridere come - me ne rendevo perfettamente conto - una scema. La verità era una e una sola: in quei cinque giorni di lontananza da Newport, Noah mi era mancato. Solo che dovevo ancora rendermene pienamente conto. 'Come.. come stai?' chiesi, appoggiando una mano sulla balaustra del pontile, stringendo tra i piedi il mio zainetto, senza alcuna intenzione di abbassarmi per raccoglierlo. Non volevo distogliere lo sguardo proprio adesso che avevo incontrato i suoi occhi nocciola. Ancora una volta mi pentii di non essermi data una sistemata, da brava ragazza di Newport, prima di uscire di casa quella mattina. Avevo tenuto i capelli legato durante la notte, per il caldo, e non li avevo pettinati quando mi ero alzata, il che significava che facevano esattamente quello che volevano. Non mi ero preoccupata nemmeno di truccarmi o simili, limitandomi ad una buona lavata di faccia e ad un velo di mascara a prova d'acqua, nel caso avessi deciso sul serio di farmi il bagno. D'altronde il costume l'avevo messo, quindi ero partita di casa con le migliori intenzioni. A parte questo, avevo il mio solito colorito anti-sole e le lentiggini in bella vista. C'era da dire che non ero particolarmente brava nel mettermi in tiro con trucco e parrucco, quindi forse per Noah era meglio incontrarmi al naturale, piuttosto che assistere ai pasticci che venivano fuori dalle mie mani maldestre e poco esperte. In quelle rare occasioni mondane alle quali accettavo di partecipare per far contenta mia madre, era lei a pettinarmi e truccarmi, con risultati - devo ammetterlo - niente male. Io ero a dir poco una frana.

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    Edited by ' rainbow - 8/8/2012, 16:13
     
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    Il pontile di sabato e domenica era esageratamente affollato, forse perchè in questi giorni anche la gente più impegnata di Newport si concedeva una giornata di relax sulla spiaggia. Gli adolescenti, invece, c' erano sempre, anche durante la settimana; il pontile era il loro luogo d' incontro, una specie di quartier generale dove si riunivano a parlare di sport, questioni amorose, moda, abbronzatura e altri cento argomenti futili. Per questo io odiavo il pontile nel weekend, mentre camminavi dovevi stare attento a non dare delle dolorose spallate alla gente che ti veniva incontro. Me ne sarei quindi rimasto a casa molto volentieri, evitando proprio del tutto questa gente. E invece no, non potevo rintanarmi dentro casa e fare quello che mi pareva perchè il signor Hayes si era ricordato di avere un figlio e una moglie a Newport. Per quanto mi riguardava, meno tempo avrei passato con lui meglio sarebbe stato per tutti quanti, gli avrei evitato una sfuriata che si sarebbe meritato in pieno. Per fortuna, ad alleviarmi questa giornata iniziata piuttosto male ci aveva pensato Ellie, senza neanche saperlo. Già, perchè mi bastava anche solo vederla per mutare radicalmente il mio stato d' animo. In questi giorni mi era capitato di pensare a lei, a che fine avesse fatto non vedendola più a scuola, ma non ci rimasi esageratamente male perchè ero sempre stato abituato a persone che se ne andavano da me. Ovviamente anche questo mio difetto era merito di mio padre, andandosene continuamente da casa avevo imparato a non fare affidamento sulle persone perchè poi ci sarei rimasto male una volta che mi avrebbero lasciato. E così, automaticamente, facevo fatica ad affezionarmi a qualcuno. Ellie ed io sembravamo fatti della stessa pasta, più la guardavo e più mi accorgevo che non aveva niente a che fare con il resto delle ragazze di Newport, lei era ben diversa per sua fortuna. Peccato che ogni volta che stavamo insieme finivo per rovinare tutto con delle pessime figuracce di cui avrei volentieri fatto a meno, ma purtroppo non potevo fare niente per evitarle. Quando si girò verso di me ed esclamò il mio nome ebbi la conferma che fosse davvero lei, non se n' era andata per sempre, era tornata per qualche assurda ragione. "Adesso bene." dissi con tono pensieroso riferendomi a questo incontro inaspettato. Da una parte pensavo a mio padre che riusciva ad innervosirmi con grande facilità, in effetti bastava solo la sua presenza a rovinarmi la giornata, ma dall' altra parte avevo provato una sensazione di sollievo incontrando di nuovo i suoi occhi. La mia risposta doveva essere stata troppo smielata perchè mi sentii in imbarazzo. Insomma, non riuscivo a dire qualcosa di carino ad una ragazza con disinvoltura, dovevo per forza accompagnare una cosa positiva ad una figura di merda. "Non ti ho vista questi giorni a scuola, è successo qualcosa?" Wow! Stavo facendo grossi progressi se riuscivo a completare una frase senza balbettare e dire qualcosa di imbarazzante. Magari questa settimana non era venuta a scuola perchè aveva avuto la febbre o forse era partita con la famiglia, o peggio con il ragazzo.


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    "Adesso bene." Era una vera fortuna, per me, ritrovarmi con il sole dritto negli occhi e sul viso. In questo modo ero almeno certa di una cosa: Noah non si sarebbe accorto del cambiamento repentino del mio colorito. Così come io non feci caso al suo improvviso imbarazzo, semplicemente perchè ero troppo occupata a far tornare il mio corpo ad una temperatura decente, il minimo indispensabile per non farmi beccare con le guance alla Heidi. Non ero mai stata una ragazza particolarmente timida o introversa, anche con Jake mi era capitato raramente di emozionarmi per una frase detta quasi per sbaglio o arrossire come una bambina. Forse perchè lui si era fatto avanti con tanto vigore e decisione che non c'era stato il tempo materiale per guardarsi negli occhi con imbarazzo e sentirsi come sulle spine ogni volta che si sentiva la voce dell'altro. Con Jake non avevo dovuto fare alcun passo in avanti, semplicemente un giorno mi aveva fermato dopo una lezione, mi aveva chiesto di uscire e il gioco era fatto. Mi ero ritrovata a stare con un ragazzo più grande del quale non sapevo praticamente niente e di cui non avevo mai capito niente nemmeno in seguito, vista la fine della nostra relazione. Annuii comunque alle sue due semplicissime parole, accennando un sorriso nel tentativo di riprendere il controllo. Bene.. bene. Vale lo stesso per me.. aggiunsi, lasciandomi sfuggire la frase quasi per sbaglio. Oltre a non sapermi truccare decentemente, avevo anche qualche difficoltà quando si trattava di flirtare. Non ero brava a dosare le parole, o andavo troppo oltre o non mi facevo capire abbastanza. Mi sarebbe tanto piaciuto possedere quella capacità, di essere sexy e misteriosa allo stesso tempo, ma anche abbastanza esplicita da far capire a chi avevo davanti le mie intenzioni. Ma purtroppo madre natura non mi aveva dotato di tale charme. L'unica cosa da fare era smetterla prima di mettere in fuga Noah in modo definitivo. "Non ti ho vista questi giorni a scuola, è successo qualcosa?" lo ringraziai mentalmente per aver cambiato discorso, dandomi così la possibilità di dire qualcosa di più intelligente rispetto alle poche parole che mi erano uscite di bocca fino a quel momento. Sono tornata a Burbank, con i miei.. vivevamo là prima di trasferirci. E' nata la figlia di mio fratello così siamo andati a trovarli.. mi piegai in avanti, andando ad aprire lo zaino che tenevo ancora tra i piedi, frugandoci dentro. Ci misi qualche secondo a trovare il cellulare, uno di quel modelli con il touch screen, tecnologia che odiavo profondamente, specie quando dovevo scrivere degli sms. Da quando mio padre me l'aveva regalato per il mio compleanno - e stiamo parlando di dicembre, non due giorni prima - non ero ancora riuscita a scrivere una frase intera senza qualche errore grammaticale. La cosa che mi piaceva, però, era la possibilità di fare foto e tenermele sempre a portata di mano. Esattamente come quella che andai ad aprire sullo schermo, porgendo poi l'aggeggio infernale a NOAH. Nella foto c'era la bambina, un minuscolo esserino di nemmeno tre chili, addormentata tra le mie braccia. Me l'aveva scattata Phil, mentre eravamo ancora in ospedale. Si chiama Vera.. conclusi la mia frase dandogli quell'informazione di cui magari non gli importava nemmeno. Ma ci tenevo, per qualche strano e assurdo motivo, a metterlo al corrente. Come se parlargli della mia famiglia potesse in qualche modo renderlo parte della stessa. Assurdo, appunto. Gli lasciai il cellulare in mano, mentre mi mettevo lo zaino in spalla. Restare su quel pontile cominciava a sembrare un'idea malsana, perchè il sole cominciava a scottare troppo per i miei gusti. Senza parlare dell'aumentare ininterrotto della gente a passeggio. Ti va un gelato? chiesi, grattandomi la punta del naso. D'altronde, quella di mangiarmi un cono gigante era stata la mia idea di punta sin dall'inizio. Mi tolsi gli occhiali scuri dalla testa, liberando così la mia frangetta ormai troppo lunga, che sarebbe stata anche ora di tagliare. In realtà stavo cominciando a pensare di tornare al mio colore naturale, ma ero anche quasi certa che con quel sole ancora estivo e il biondo chiaro che avevo sotto, se li avessi tinti di rosso mi sarebbero diventati color carota nel giro di due settimane.

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    Certe volte volevo essere proprio come uno di quei supereroi di cui leggevo nei miei numerosi fumetti, sicuro di sé, particolarmente predisposto per fare conversazione senza fare una figura di merda al minuto, e saperci fare con le ragazze. Se prendevamo come esempio Spiderman, allora potevo anche pensare che avessi qualcosa in comune con il nerd Peter Parker, anche lui non riusciva a fare colpo sulla sua Maryjane e veniva disprezzato e deriso da tutta la scuola. Con il piccolo particolare, però, che lui ottenne dei superpoteri dal morso di un ragno e cominciò ad arrampicarsi sui muri e a volare con le ragnatele, io invece al massimo potevo essere morso da una zanzara il cui pizzico avrebbe comportato solo tanto fastidio. Perchè continuavo a leggere quei fumetti non lo sapevo con esattezza, forse perchè si è sempre attratti dall' impossibile e dal sovrannaturale, insomma chi non avrebbe voluto avere dei superpoteri? Era come guardare un film d' amore per una donna, lo guardava perchè desiderava avere una storia come quella del film. Sapeva benissimo che era finzione, ma continuava a vederli. E così facevo anch' io, non con i film d' amore ovviamente, ma con i fumetti. Erano tutte cavolate, ma ne ero affascinato sin da quando ero piccolo. Bene.. bene. Vale lo stesso per me.. il mio sorriso si estese maggiormente al suono delle sue parole, era un sorriso compiaciuto e imbarazzato al tempo stesso. Io pensavo di aver fatto una figura di merda nel lasciarmi scappare quella frase, e invece lei l' aveva ripetuta, il che non poteva che farmi piacere. Sono tornata a Burbank, con i miei.. vivevamo là prima di trasferirci. E' nata la figlia di mio fratello così siamo andati a trovarli.. Era partita per andare a fare visita al fratello che aveva appena avuto una bambina, non se n' era andata in vacanza col fidanzato, o cose del genere. Cominciavo a pensare un po' troppo, ma del resto era quello che facevo sempre, mi riempivo la testa di inutili e numerose paranoie che non avevano fine. Si chiama Vera.. aggiunse porgendomi il suo cellulare che, ovviamente, afferrai nella mia mano. Guardai il display notando che si trattava di una sua foto con in braccio una bambina piccolissima. Sorrisi spontaneamente, un sorriso più dolce rispetto agli altri che mi erano usciti finora. "Vera.. mi piace, è particolare." dissi senza staccare gli occhi dal cellulare che tenevo in mano. Mi piacevano i bambini, quando andavamo a trovare qualche parente che aveva figli piccoli diventavo ancora più piccolo di loro, mi ci mettevo a giocare e a fare lo stupido, e il bello era che non me ne importava niente. Mi sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella più piccoli - essere figli unici non è sempre e solo vantaggioso - ma da una parte ero contento così perchè almeno si sarebbe risparmiato di avere un padre nomade, che non era per niente piacevole. "Tanti auguri, zia! E' la tua prima nipote?" Era diventata zia, il che implicava che aveva un fratello e mi venne spontaneo domandarmi se la sua fosse una famiglia numerosa o di poche persone. Ti va un gelato? avevo ancora gli occhi fissi su quello smartphone, ad essere sincero avevo smesso di guardare la bambina per concentrarmi su chi la teneva in braccio, era dir poco bellissima nel suo essere semplice. Quando sentii le sue parole alzai gli occhi sul suo viso per risponderle. "C-certo!" esclamai forse anche troppo. Che deficiente! - pensai tra me e me. Potevo anche chiederglielo io se non fossi stato preso da quella foto. "E così vieni da Burbank. Sai che ci sono tante città con questo nome? Una sta nell' Illinois, un' altra qui in California e un' altra ancora in Australia." dissi girando le spalle e mettendomi al suo fianco, e cominciai a camminare lentamente. Avevo cominciato a parlare di geografia, ma che diavolo mi passava per la testa? Chiederle semplicemente di quale Burbank parlasse, no?


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    "Tanti auguri, zia! E' la tua prima nipote?" annuii, senza smettere di sorridere. Ero sempre stata una persona solare, difficilmente taciturna o abbattuta, ma dovevo ammettere che tutto quel mio buonumore fosse alquanto sospetto. Faticavo a credere che fosse tutto merito di Noah, ma visto come cambiava il mio umore quando mi trovavo insieme a lui, forse qualche dubbio potevo anche farmelo venire. Mi piaceva, come tipo, e fin qui c'ero arrivata. Il problema era capire fino a che punto mi piacesse. Scossi appena la testa, passandomi una mano libera fra i capelli, sistemandomi una ciocca ribelle dietro l'orecchio e sollevando nuovamente lo sguardo per raggiungere i suoi, di occhi. E' la prima, sì. Pensavo che sarebbe stato Andy a diventare padre per primo, e invece.. mi strinsi nelle spalle, come parlando tra me e me, rendendomi conto soltanto dopo alcuni istanti che Noah non poteva sapere chi fosse quel fantomatico Andy. Così mi affrettai ad aggiungere il resto, prima che potesse domandarmelo. Mio fratello più grande, Andy. E' sposato da un po'.. invece Phil convive e..è il neo padre. Insomma ho due fratelli. Due maggiori. Sono due! conclusi, quasi alla disperata, ben sapendo che stavo ricominciando a fare la mia solita confusione. Tutta colpa di Noah, che riusciva in qualche modo a frenare la mia storica parlantina sciolta con i suoi occhi da cucciolo e quei capelli che avrei tanto voluto accarezzare, nei miei sogni. Accidenti! Chinai la testa per un istante, portandomi due dita alle tempie, nel vago tentativo di riprendere la concentrazione. Probabilmente se qualcuno si fosse fermato ad ascoltare le nostre conversazioni, avrebbe potuto scambiarle per degli spettacolini di cabaret. Per fortuna Noah intervenne di nuovo accettando miracolosamente la mia offerta di un gelato, dandomi così modo di rialzare la testa con un sorriso da orecchio ad orecchio, già dimentica delle parole a raffica e quasi del tutto senza senso pronunciate da me medesima solo poco prima. "E così vieni da Burbank. Sai che ci sono tante città con questo nome? Una sta nell' Illinois, un' altra qui in California e un' altra ancora in Australia." Se ne uscì con quella notizia all'improvviso e per poco non scoppiai a ridere. Non avevo idea che ci fossero altre Burbank al mondo ed era quello il motivo per cui non gli avevo precisato lo Stato della mia. Si mise al mio fianco, cominciando a camminare e io gli stetti appresso, accellerando di poco il passo per non rimanere indietro. Ero più che felice di togliermi dal marasma in continuo aumento per spostarmi in un posto più riservato e tranquillo, magari non direttamente sotto il sole. Adesso grazie a te ne so una in più, Noah. Io sono californiana al cento per cento, non si nota? esclamai, ridacchiando, perchè quell'ultima voleva proprio essere una battuta. Chi non era nato e non viveva in California era quasi sempre convinto che gli abitanti di quello stato dovessero essere per forza tutti dei surfisti, possibilmente biondi e irrimediabilmente fighi nonchè abbronzati. Così quando vedevano me, una mozzarella con i capelli rossi, le lentiggini e le scarpe da tennis, rimanevano delusi. Non si rendevano conto di quanto fossero stupidi e insensati, certi pregiudizi. Camminammo ancora, arrivando alla fine del pontile, ritrovandoci sulla strada del lungo mare. Conosco un posto un po' più tranquillo.. ok? chiesi, anche se la mia domanda era retorica: in qualche modo sapevo che nemmeno a Noah piaceva il casino e le maree interminabili di gente. Così voltai verso destra, proseguendo sul lungo mare- Stavo puntando al minuscolo barettino che avevo scoperto qualche mese prima con Constance: l'ultimo gelato ce lo eravamo mangiate lì, insieme, ci eravamo tenute la mano e lei aveva appoggiato la sua testa sulla mia spalla, guardando il sole che andava giù. Poi se n'era andata e io avevo perso l'unica amica che ero riuscita a farmi a Newport. Bella sfiga, direte voi. Mi mancava, Cos, ma non potevo farci niente. Cercai di scacciare dalla mente quel pensiero, per non tornare ad essere nuovamente malinconica, senza rendermi nemmeno conto che istintivamente nel camminare mi ero fatta praticamente addosso a Noah. Forza dell'abitudine: mi veniva spontaneo cercare, se non la mano, almeno il contatto fisico. Dimenticarsi cosa voleva dire per me avere un ragazzo sembrava essere più duro di quanto avevo pensato quando avevo lasciato Jake.

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    E' la prima, sì. Pensavo che sarebbe stato Andy a diventare padre per primo, e invece.. mi voltai verso di lei e la guardai con un grande punto interrogativo stampato in faccia, infatti non capivo chi fosse questo Andy, ma poi Ellie si affrettò a puntualizzare e a spiegare la sua frase. Mio fratello più grande, Andy. E' sposato da un po'.. invece Phil convive e..è il neo padre. Insomma ho due fratelli. Due maggiori. Sono due! Andy e Phil, i suoi fratelli maggiori uno dei quali era appena diventato padre. Però! Io avevo sempre desiderato un fratello o una sorella, invece lei ne aveva due più grandi, i quali sicuramente sarebbero stati gelosi della sorella. Se anch' io, come loro, avessi avuto una sorella minore probabilmente ne sarei stato geloso, esageratamente geloso, quindi mi sarei stupito del contrario. Insomma, ero geloso anche di mia madre quando un uomo si fermava a parlare con lei più del normale, più che geloso ero infastidito all' idea che qualche pompato di Newport le girasse intorno. Mia madre meritava di più di un comune uomo che credeva ancora di avere vent' anni, meritava più anche di mio padre, credo che il volerle così tanto bene mi facesse desiderare per lei il meglio. Se poi questo meglio fosse stato il rimanere single l' avrei apprezzato ancora di più, ma sapevo di non poter essere così egoista. "Oh grazie. Sai, non sapevo contare fino a due." dissi rivolgendole uno sguardo divertito ma al tempo stesso sfacciato, a pensarci bene non l' avevo mai guardata in questo modo, ma era una cosa positiva perchè significava che pian piano mi stavo aprendo. Continuai a camminare al suo fianco, alternando lo sguardo dalle mie scarpe al suo viso. Adesso grazie a te ne so una in più, Noah. Io sono californiana al cento per cento, non si nota? Mi ero subito pentito di aver detto quelle cose senza senso a proposito di Burbank, ma purtroppo adesso non potevo farci niente, era troppo tardi per rimangiarsi tutto. Era un vantaggio dell' avere un padre che gira il mondo, almeno avevo una A fissa in geografia - peccato che non seguivo il corso di geografia. Alla sua ultima frase sorrisi spontaneamente continuando a guardare dove mettevo i piedi, ma anche stavolta non riuscii a fare a meno di chiudere la mia boccaccia. "Mmm no, per niente!" risposi con tono divertito, tipico di chi volesse prendere in giro una persona. Spostai il mio sguardo su di lei non riuscendo a trattenere una risata, la stavo prendendo in giro ma non in modo cattivo come facevano gli studenti della Harbor, era più in senso scherzoso e innocente. Camminando e parlando, eravamo arrivati sulla strada del lungo mare, dove c' erano ristoranti, gelaterie e negozi vari. Alzai lo sguardo sulla gente che passava di lì e non riuscivo a credere a come facevano tutte queste persone a stare in mezzo a questa confusione, quando io venivo al pontile non ce la facevo a rimanerci per più di un quarto d' ora, così finivo per tornarmene a casa o per vagare in posti più tranquilli. Conosco un posto un po' più tranquillo.. ok? Era come se mi avesse letto nel pensiero, come se in quel momento gli avessi chiesto telepaticamente di cambiare aria, e lei se n' era uscita con una proposta a dir poco perfetta. "Si nota così tanto che odio queste cose?" chiesi sarcastico acconsentendo alla sua proposto, seguendola nei suoi passi. Non sapevo che posto avesse in mente, ma se ci fosse stata meno confusione sarebbe andata benissimo. Mentre camminavamo notai che era finita addosso a me, quasi poggiandosi. Spalancai gli occhi senza farmi vedere, dentro di me stavo andando nel pallone perchè mi trovavo in imbarazzo. Insomma, che voleva dire? Era un suo normale vizio quello di camminare addosso alla gente oppure stava cercando di dirmi qualcosa, tipo che voleva un tipo di contatto fisico con me. Non gli avrei preso la mano o poggiato un braccio intorno al suo collo, non l' avrei mai fatto perchè sarei morto dalla vergogna. Quindi, come tutte le volte in cui mi trovavo in difficoltà, cominciai a parlare, o meglio ad aprire bocca e a far uscire qualche cazzata che avrebb compromesso la nostra passeggiata. "Quand' ero piccolino avevo il vizio di camminare addosso a mia madre e lei puntualmente si spostava, ma era tutto inutile perchè continuavo ad andarle addosso involontariamente. Credo fosse un bisogno di protezione o qualcosa del genere." pensai a voce alta assorto nei miei pensieri. Era vero, quando uscivo con i miei genitori e mi facevano camminare io finivo per andargli addosso, intralciando il loro tranquillo cammino. Non lo facevo appositamente, neanche ci pensavo, ma continuai a fare così fino alle elementari, dopo di che mi sforzai di camminare da solo, e ormai ero un asso in quello.


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    Il fatto che mi prendesse un po' in giro, che scherzasse e rispondesse a tono alle mie battute, mi sembrava un buon segno. La prima volta che ci eravamo conosciuti, al Diner, sembrava troppo timido persino per ordinare delle frittelle. Il fatto che stesse decidendo di aprirsi con me, con questa tranquillità e naturalezza, non poteva che rendermi.. bè, orgogliosa. Non ero del tutto una frana, in fondo. "Si nota così tanto che odio queste cose?" annuii, ridacchiando, sempre continuando a camminargli appiccicata. Ancora non mi ero resa conto che quel mio atteggiamente era una rimembranza lontana, gesti che eseguivo quasi in automatico, ma con un altro ragazzo. Il fatto è che quel lato di una relazione mi piaceva: camminare mano nella mano, le dita fra i capelli, gli sguardi furtivi, i sorrisi. Non che credessi ancora nel principa azzurro - altrimenti mai e poi mai mi sarei messa con Jake - ma avevo un mio lato romantico che non sapevo mettere da parte. Piccole cose che mi davano grandi emozioni, senza architettare sorprese o regali sfarzosi. Gesti quotidiani di affetto tra due persone, semplice. Era colpa di questa mia indole, se camminavo appoggiata a NOAH, senza nemmeno rendermene conto, beandomi inconsciamente del contatto lieve tra le nostre braccia. Sei come un libro aperto per me, Hayes commentai, rispondendo alla sua domanda con tono da finta saputa. In effetti era talmente simile alla sottoscritta, che mi sembrava quasi di conoscerlo da sempre. Anche se la realtà era stranamente ben diversa. Continuai a camminare e se NOAH non avesse detto quello che mi disse di li a pochi secondi, forse ora del nostra arrivo dal gelataio sarei persino riuscita ad afferrargli le dita della mano, stringendole tra le mie. Non ci stavo pensando razionalmente, ma col senno di poi credo che non me ne sarei pentita affatto. Ma non feci in tempo, perchè fu proprio Noah, a riportarmi alla realtà delle cose. "Quand' ero piccolino avevo il vizio di camminare addosso a mia madre e lei puntualmente si spostava, ma era tutto inutile perchè continuavo ad andarle addosso involontariamente. Credo fosse un bisogno di protezione o qualcosa del genere. Mi bastarono due secondi, nemmeno il tempo necessario a fargli finire la frase, per rendermi conto che stava parlando di me. Di me e del fatto che gli camminavo praticamente addosso. Fino a quel momento mi ero crogiolata così tanto nella sua vicinanza e all'idea di un gelato insieme, che non avevo fatto minimamente caso ai movimenti che il mio corpo compiva da solo, quasi per inerzia. Oddio. Scusa. Non.. io cammino storta. Scusa. farfugliai, affrettandomi a fare un passo di lato, riprendendo la retta via, cioò stando a trenta centimetri buoni da lui. La scusa del camminare storta mi era uscita dalla bocca insieme al suono che fanno le unghie quando tenti di arrampicarti sui vetri, ma nell'imbarazzo generale per la situazione non ero riuscita a farmene venire in mente una migliore. E per fortuna che aveva interrotto quel momento prima che potessi veramente allungare una mano per prendere la sua. A quel punto sarei sprofondata fino al centro della terra, scomparendo alla sua vista per sempre. Ecco! siamo.. siamo arrivati! esclamai, per interrompere l'improvviso silenzio, lanciandomi quasi con tutta me stessa verso il piccolo negozietto con l'insegna colorata di blu, azzurro e verde acqua. Mi fermai davanti al banco che esponeva i vari gusti, concentrandomi sui nomi degli stessi per non dovermi così voltare verso Noah, che probabilmente mi si sarebbe affiancato di lì a poco. In realtà sapevo già che gusti prendere, ma la lettura era una buona scusa per non alzare lo sguardo, almeno fino all'arrivo dietro il bancone del proprietario. ''Ehi, piccola Eleanor. Come va la scuola?" accennai un sorriso in direzione dell'ometto dietro il bancone, una delle poche persone simpatiche e alla mano - insieme al mio capo Mike - che avevo avuto modo di conoscere a Newport, in quell'anno appena passato. Bene Gus. L'ultimo anno si avvicina! esclamai, tentando di concentrarmi su di lui quel tanto che bastava perchè le mie guance potessero tornare di un colore normale, dopo la figuraccia - l'ennesima - di pochi istanti prima. Lui è Noah, un amico.. per me fai il solito cono da due? chiesi, riferendomi ai due gusti che gira e rigira prendevo ogni santissima volta. Stracciatella e pistacchio. Ormai era come per un cliente abituale di un pub ordinare 'il solito'.

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    Sei come un libro aperto per me, Hayes Non sapevo se questa era una cosa positiva o negativa, voleva dire che capiva quello che mi passava per la testa ma al tempo stesso potevo risultare troppo prevedibile. Insomma, era bello uscire fuori dagli schemi ogni tanto, poterla stupire era un' idea che mi gironzolava per la testa da qualche giorno ma non ero ancora riuscito a capire come. Magari mi sarei trasformato in un ragazzo sicuro e prepotente, il mio esatto contrario, giusto per uscire dall' ordinario, ma dubitavo che lo apprezzasse. Hayes, conosceva il mio cognome mentre io non sapevo il suo , probabilmente glielo aveva detto qualcuno della scuola. Odiavo quando mi chiamavano per cognome, mi faceva automaticamente pensare a mio padre, inutile sottolineare il rapporto che avevo con lui. I nomi erano stati creati apposta, no? Ero sicuro che lei non avesse voluto farlo di proposito, perchè se avesse conosciuto mio padre o anche solo immaginato il tipo di rapporto che noi due avevamo, allora avrebbe evitato di ricordarmelo. Oddio. Scusa. Non.. io cammino storta. Scusa. le rivolsi un sorriso dolce mentre si scusava, ma non ce n' era motivo, alla fine non mi dispiaceva questo suo camminarmi addosso. "Non ti preoccupare.." la tranquillizzai continuando a sorridere, non potei proprio nascondere il mio divertimento per quella scena. Ero stato uno stupido a farle notare che mi stava camminando addosso, se mi fossi stato zitto adesso avrei Ellie vicina a me anziché a tremila chilometri di distanza. Okay, erano solo un po' di centimetri, ma mi sembravano molti di più. Dopo la mia frase calò il silenzio tra me e lei, e questo mi fece incazzare con me stesso per aver aperto la mia maledetta bocca. Finalmente, però, eravamo arrivati a questa gelateria nascosta, in effetti era appartata e non c' era tanta gente quanta sul pontile. Ecco! siamo.. siamo arrivati! alzai lo sguardo che fino ad ora avevo tenuto fisso sulle mie scarpe o per terra, e scorsi un' insegna colorata che difficilmente poteva passare inosservata. Eppure io non l' avevo mai vista da due anni che vivevo a Newport, cominciavo seriamente a pensare che avessi bisogno di un paio d' occhiali. A dire il vero li avevo gli occhiali, però li mettevo solo a casa per guardare la tv, erano da riposo e a scuola non mi servivano. Scegliere i gusti del gelato era sempre un trauma per me, mi piacevano tutti ma li sceglievo in base all' umore, a come mi girava. Ed oggi era stata una giornata particolare e strana, era iniziata nel peggiore dei modi con i tentativi di mio padre di svolgere il suo ruolo affettivo ed era proseguita nel migliore dei modi rincontrando Ellie. Ehi, piccola Eleanor. Come va la scuola?" una voce maschile mi distrasse dal tentativo di scegliere i miei gusti, alzai lo sguardo verso il bancone e incrociai lo sguardo di un uomo. "Ma con chi ce l' ha?" provai anche a girarmi ma dietro di noi non c' era nessuna figura femminile che potesse essere Eleanor, poi guardai Ellie al mio fianco e capii che ce l' aveva con lei. Il suo vero nome era Eleanor, l' avevo persino intuito la prima volta che ci eravamo visti e presentati, però avere la conferma era rassicurante. Bene Gus. L'ultimo anno si avvicina! Lui è Noah, un amico.. per me fai il solito cono da due? la fissai per tutto il tempo che parlava a questo presunto Gus, che evidentemente doveva essere il proprietario della gelateria. Quando mi presentò, spostai lo sguardo su Gus e feci del mio meglio per non sembrare un deficiente. "Ciao Gus!" dissi rivolgendogli un sorriso cordiale, forse fin troppo cordiale. Adesso sì che sembravo un deficiente! Aspettai che preparasse il cono ad Ellie prima di scegliere i miei gusti, magari mi avrebbe potuto illuminare. "Stracciatella e pistacchio?" chiesi con un' espressione leggermente inorridita sulla faccia. Non avevo mai sentito questo accostamento e il solo pensiero del pistacchio mischiato alla stracciatella mi disgustava. "Anche per me, grazie." dissi rivolgendomi a Gus per poi ritornare con gli occhi puntati su Ellie. Avevo ordinato il suo stesso gelato sia perchè ero curioso di provare questa assurdità sia perchè si sarebbe fatta vecchia ad aspettare che scegliessi i miei gusti. Quando ero indeciso su qualcosa riuscivo a spazientire tutti, anche la persona più calma sulla terra. Infilai una mano sulla tasca del jeans e tirai fuori il mio portafogli per poi lasciare delle banconote sul ripiano dove erano poggiati anche i cucchiaini e i contenitori di biscotti. Mi piaceva quando offrivo qualcosa a qualcuno, mi sentivo.. importante. Lo so, era una cosa assurda da sentire, ma ero del parere che un ragazzo doveva sempre pagare al posto di una ragazza.



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    In effetti il suo cognome l'avevo saputo chiedendo in giro, dopo essermi finalmente resa conto - avevo lasciato passare giusto un anno - che Noah frequentava il mio stesso liceo. In quel momento mi era uscito di getto, senza nemmeno pensare al fatto che non era stato lui a dirmelo - il che faceva di me una stalker che chiede informazioni sulla sua prossima vittima - nè tantomeno che potesse dargli fastidio. Ovviamente se solo avessi saputo dei suoi problemi con il padre e dei sentimenti che l'essere chiamato per cognome gli suscitavano, mi sarei ben guardata dall'usare quell'espressione. Ma non lo sapevo. In più la consideravo una cosa del tutto normale, vista la mia passione per fumetti e film d'azione: se ci pensate bene i protagonisti vengono quasi sempre chiamati per cognome. Fino a dodici anni avevo desiderato poter cambiare cognome solo per potermi chiamare Mcclane, come Bruce Willis in Die Hard e farmi chiamare così da tutti. Con un cognome lungo come il mio la cosa si faceva un po' più complicata, anche se nel vecchio liceo di Burbank qualcuno che mi chiamava Bartowski l'avevo trovato. Comunque, ero ancora troppo imbarazzata per quel mio brutto vizio di camminare addosso alle persone, per rendermi conto di aver fatto una gaffe, l'ennesima. "Non ti preoccupare.." Noah sembrava comunque rilassato, condizione che permise anche a me, nonostante l'ormai perenne rossore sulle mie guance, di riprendere un po' di sicurezza. Non riuscivo a capire come un ragazzo tanto semplice e timido riuscisse a farmi sentire in quel modo. Non mi ero mai trovata in quello stato di imbarazzo cronico nemmeno durante il periodo in cui Jake mi faceva la corte, senza tanti sotterfugi o mezzi termini, spesso anche davanti alle mie amiche di scuola. Era uno che non si faceva problemi e io con lui. Adesso sembrava cambiato tutto, sembravo cambiata io. La vecchia Ellie forse non sarebbe arrossita come una ragazzina alla prima cotta, anche se effettivamente di ragazzo ne avevo avuto solo uno, nella mia 'lunga vita'. Non certo un record, ma per avere diciassette anni che vi aspettavate? Presi il mio cono bigusto dalle mani di GUS, inarcando un sopracciglio quando Noah chiese i miei stessi identici gusti, un'accoppiata che a me faceva impazzire ma che probabilmente non piaceva a molti. Li hai già assaggiati insieme o ti fidi ciecamente del mio palato sopraffino? chiesi, riuscendo persino a regalargli un sorriso sinceramente divertito, dimenticando per un istante la gaffe di poco prima. Diedi un primo assaggio al gelato, evitando di affondarci i denti, usando solo le labbra - e di conseguenza sporcandomi fino alla punta del naso - fermandomi solo quando con la coda dell'occhio vidi Noah che appoggiava dei soldi sul bancone. Tu sì che sei un gentiluomo.. però la prossima volta offro io! Non so, magari una colazione! esclamai, alzando contemporaneamente una mano per salutare GUS, che se la rideva allegramente sotto i baffi che non aveva, voltandomi per tornare verso l'uscita della mini gelateria. Il gelato mi aveva già rinfrescato le idee al primo morso ed ero sicura che ora della fine del cono mi sarei ripresa totalmente. Mi fermai sulla soglia, aspettando che Noah prendesse il suo cono e mi seguisse, dopodichè uscii nuovamente all'aperto. Si era alzata persino un po' d'aria dal mare, il che rendeva la temperatura quasi sopportabile anche per una mozzarella come me. Oppure potresti venire da me a fare colazione, un giorno. A mia madre piacerebbe conoscerti, sai.. ogni volta che porto un amico o un'amica va al settimo cielo. ripresi il mio discorso di punto in bianco, probabilmente dalla mia precedente offerta di pagargli una colazione. Mi era venuto spontaneo, quasi istintivo fare finalmente quel passo di invitarlo a casa. Non ci vedevo niente di male, dopotutto. Avevo anche aggiunto mia madre, alla frase, non modo che Noah non potesse pensare che saremmo stati.. soli. Avevo come l'impressione che questo dettaglio l'avrebbe convinto a non venire, io cercavo solo di metterlo più a suo agio possibile. Camminai sulle assi di legno del pontile, fermandomi solo di fronte alle sbarre orizzontali che facevano da parapetto, sul mare. Mi appoggiai a queste con il sedere e la schiena, continuando beatamente a mangiare il mio gelato, aspettando la risposta di Noah. E anche la sua reazione al doppio gusto che si era scelto.

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    Li hai già assaggiati insieme o ti fidi ciecamente del mio palato sopraffino? Sorrisi sinceramente divertito, la trovavo spassosa certe volte. Non che lo fosse solo qualche volta e altre invece non lo era per niente, no. Di sicuro aveva più umorismo di me, questo era poco ma sicuro. Normalmente anch' io sapevo essere ironico e sarcastico fino a mettere in imbarazzo il mio interlocutore, ma con lei non ci riuscivo proprio, era come se dovessi stare attento a controllare ciò che dicessi per evitare delle colossali figure di merda. Se mi fossi lasciato andare al mio spiccato senso dell' humor allora sarebbe stata la fine. Ovviamente quei due gusti insieme non li avevo mai provati, per me equivaleva ad assaggiare il dolce col salato insieme, una cosa allucinante solo a pensarci. E adesso che lei me lo chiese non sapevo neanche più perchè avevo scelto i suoi stessi gusti, forse per non rimanere sempre nelle mie idee strampalate e darmi un' opportunità di provare anche altre cose, chissà magari mi sarebbero anche piaciuti quei gusti. "Direi la seconda, anche se non so quanto posso fidarmi.." dissi prendendola chiaramente in giro per il suo "palato sopraffino". Da quello che ne potevo sapere io le poteva anche piacere mischiare il dolce col salato, cosa che invece io non avrei mai fatto. Insomma non potevo e non dovevo fidarmi dei gusti di una sconosciuta, ma c' era qualcosa che mi diceva che avevo fatto bene. Tu sì che sei un gentiluomo.. però la prossima volta offro io! Non so, magari una colazione! Non le risposi, sorrisi alla sua affermazione mentre lasciavo i soldi a Gus e gli dicevo di tenersi il resto. Se ci fosse stata un' altra volta non potevo saperlo - anche se mi sarebbe piaciuto molto - ma una cosa era sicura, non avrebbe di certo pagato, anche a costo che glielo impedissi con la forza. Presi il gelato e la raggiunsi sulla soglia della porta, e quando i miei occhi caddero sul suo bel faccino notai che era sporco di gelato, precisamente sul contorno labbra fino alla punta del naso. Cominciai a ridere non riuscendo a trattenermi, ok sapevo che non era carino ridere di qualcun' altro ma era così buffa conciata in quel modo che restare serio era praticamente impossibile. Continuai a camminare raggiungendo insieme a lei le sbarre del pontile, oltre le quali c' era la spiaggia e l' oceano. Oppure potresti venire da me a fare colazione, un giorno. A mia madre piacerebbe conoscerti, sai.. ogni volta che porto un amico o un'amica va al settimo cielo. Annuii al suo invito, non molto convinto in realtà. Non perchè non ne avessi voglia, il punto era che ero un disastro con i miei coetanei, figuriamoci con i genitori della ragazza che mi piaceva. Sarebbe stato imbarazzante e terribile, avrei finito per distruggergli la casa con le mie gaffes, per non parlare dell' impressione sbagliata che avrei potuto dargli. "Sì.. perchè no.. Il fatto è che non penso sia una buona idea, io.. non piaccio ai genitori, di solito." tentai di spiegarle cosa non mi convinceva del suo invito, avrei potuto accettare e finirla lì, ma poi sarei dovuto andare a casa sua facendo dieci, cento, mille figuracce per di più con i suoi genitori. No, non se ne parlava, non potevo permettermi questo rischio. Mi posizionai di fronte a lei e quando il mio sguardo si posò di nuovo sul suo viso, sorrisi divertito per il casino che si stava facendo sulla faccia. Glielo dovevo dire, altrimenti quel gelato si sarebbe cosparso fino alle orecchie. "Mi dispiace, è che.. - dissi cercando di ritornare serio e mi portai un dito davanti al naso indicando tutta la bocca - .. hai dello sporco proprio qui." terminai la frase finalmente, sorridendo ancora imbarazzato per lei. In realtà non c' era niente di male, era capitato anche a me qualche volta, solo che quando ero con qualcuno riuscivo a regolarmi. Dio quanto avrei voluto assaporare le sue labbra in quel momento, il mio sguardo era fisso su di esse e non riuscivo a non pensare di baciarla. Era così bella, anche con del gelato sulla faccia, avrei tanto voluto farlo ma qualcosa mi bloccava. Portai le mie labbra sul mio gelato che si stava sciogliendo, per il momento mi sarei dovuto accontentare di assaporare del gelato fresco. Alzai lo sguardo al cielo concentrandomi solo sul gusto, all' inizio mi sembrò buono ma qualche secondo dopo inarcai un sopracciglio per il sapore del pistacchio che aveva la meglio sulla stracciatella. Faceva schifo, non mi piaceva per niente, e penso che questo l' aveva capito anche lei visto che sulla mia faccia prese spazio un' espressione disgustata, sembravo un bambino alle prese con una cattiva minestra. "Fa veramente schifo!" esclamai senza peli sulla lingua, tornando a guardare i suoi occhi. Ma come diavolo faceva a mangiarlo e a dire che era buono?



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    "Direi la seconda, anche se non so quanto posso fidarmi.." a-ah, allora andavamo sul personale! Ridacchiai sotto i miei baffi di gelato - anche se, purtroppo, non avevo ancora ben chiaro fin dove me lo fossi sparsa - compiacendomi di quella battutina. Era bello vedere come Noah, che a scuola cercava sempre di mescolarsi agli altri per apparire più invisibile possibile, che al nostro primo incontro aveva balbettato con un certo imbarazzo solo perchè gli avevo sorriso, riuscisse ad aprirsi, mostrandomi anche una parte di sè ironica e divertente. Una parte che, ne ero certa, avrebbe attirato ragazze come api col miele, se solo ne avesse fatto maggior buon uso. Anche in questo caso, per puro egoismo, ero contenta. Ormai mi ero convinta che meno 'pretendenti' gli girassero attorno, meglio sarebbe stato per il mio povero cuore. Perchè il fatto di non starci insieme non significava che potesse farmi piacere vederlo uscire e sbaciucchiarsi con un'altra, no? Quando vidi però l'espressione sul suo volto e quel sorrisetto diventare quasi una vera e propria risata, mi venne spontaneo corrugare la fronte. C'era qualcosa che lo divertiva davvero e avevo come il vago sospetto di c'entrare qualcosa. Ah, se solo avessi avuto uno specchio, in quel momento. Ma forse era meglio così: occhio non vede, cuore non duole. E poi era già un miracolo non essermi sporcata maglietta e pantaloncini, potevo forse chiedere di più? Diedi un'altra leccata al mio gelato, sgranocchiando un pezzetto di cioccolato capitatomi sotto i denti, aspettando finchè Noah non mi raggiunse al parapetto. Al mio invito per una colazione a casa aveva cambiato completamente umore. Lo capii subito, dal modo in cui annuii poco convinto con la testa, che l'idea non lo attirava particolarmente, dando così modo al mio cervello di maledirsi per aver affrettato i tempi. Mi stavo già facendo chissà quali viaggi, pensando all'idea che poteva essersi fatto di me, una che lo conosce a malapena e già lo invita a casa sua con chissà quale obiettivo malato in mente. Ovviamente li avevo, alcuni obiettivi malati, in mente. Dopotutto avevo diciassette anni e una buona dose di ormoni impazziti liberi di vagare per il mio corpo, ma sapevo anche - e mi conoscevo abbastanza bene - che non l'avrei aggredito e rinchiuso in camera mia. Non contro la sua volontà, almeno. "Sì.. perchè no.. Il fatto è che non penso sia una buona idea, io.. non piaccio ai genitori, di solito." ah. La sua spiegazione mi lasciò di stucco ancora più delle sue risatine di prima - quelle si che erano giustificabili, vista la situazione gelato/viso ancora in fase di peggioramento - e mi costrinse a sbattere le palpebre un paio di volte, per riprendermi. Sinceramente non potevo credere alle sue parole. Ma scherzi? Tu sei il ragazzo che ogni mamma sana di mente vorrebbe conoscere.. sei carino, gentile, intelligente.. penso che la mia ti rapirebbe, se potesse ogni parola mi uscì di getto, con una dose di sincerità che arrivava a superare anche il cento per cento. Non riuscivo a capire come potesse il genitore di una ragazza non adorare Noah. Considerato che io avevo presentato ai miei un tipo come Jake - e che mia madre l'aveva odiato non appena lui era entrato in casa con le scarpe sporche di fango - non riuscivo a capacitarmi delle sue parole. Aprii nuovamente la bocca, gesticolando con il mio cono ancora stretto in una mano, pronta ad aggiungere qualcos'altro, quando improvvisamente Noah scoppiò a ridere, di nuovo. E questa volta non ebbi alcun dubbio che il motivo di tanta ridarella fosse qualcosa sulla mia faccia. "Mi dispiace, è che.. - dissi cercando di ritornare serio e mi portai un dito davanti al naso indicando tutta la bocca - .. hai dello sporco proprio qui." Perfetto! Sollevai la mano libera, andando a tastare la pelle dove mi aveva indicato, prima sulle labbra oh, poi risalendo fino al naso, continuando a trovarci gelato. ohi ohi.. Grazie per avermelo detto subito eh! Ti diverti alle mie spalle, ammettilo! lo rimproverai, fingendomi imbronciata ma senza esserlo veramente. Se lui rideva, veniva da ridere anche a me. Se solo non mi avesse guardato in quel modo, le cose sarebbero state decisamente più facili. Deglutii a vuoto, ancora con il viso un po' sollevato verso di lui, prima di scuotere appena la testa per riprendermi da quell'istante di.. tensione? Elettricità? Forse, diciamo che non abrei saputo definirlo in altro modo. Utilizzai il fazzolettino di carta che Gus ci aveva dato - uno ciascuno - insieme al cono, utilizzandolo per pulirmi alla bell'e meglio la bocca e la punta del naso. Ora che sapevo l'amara verità, riuscivo anche ad avvertire l'appiccicume rimastomi sulla pelle, cosa che avrei volentieri cancellato una volta arrivata a casa, con una doccia. Magari fredda, così mi si calmano i bollenti spiriti. Per fortuna, non ero l'unica in difficoltà. Sollevai lo sguardo sull'espressione semi-disgustata dipinta sul viso di Noah, apparsa due secondi dopo il primo assaggio di gelato. "Fa veramente schifo!" Accartocciai il fazzolettino in una mano, riprendendo a mangiare il mio gelato non senza una certa dose di vittoria stampata in faccia. Vedi, questo è il karma! Ma dato che sono una brava e buona ragazza.. ti cedo la mia parte di stracciatella e mi mangio la tua di pistacchio. Che ne dici? chiesi, sporgendomi appena in avanti, tendendogli il mio cono. Effettivamente avevo già mangiato quasi tutta la parte verde, lasciando praticamente intatta la pallina di stracciatella.

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    Ebbene sì, mi stavo sciogliendo pian piano proprio come stava facendo il gelato che tenevo in mano, mia madre era l' unica persona della mia vita a cui piacevo - ed era di parte visto che ero il suo unico figlio - qualche volta vedevo che cercava di accrescere la mia autostima ma era tutto tempo e fiato sprecato. Ero molto, ma molto, insicuro, probabilmente la colpa più grande ce l' aveva la società in cui vivevo, insomma Newport non rispecchiava la mia personalità, se c' era una località che lo faceva allora quella era senza dubbio l' Islanda, con il suo clima mite, sì decisamente faceva per me. Per questo ero sempre più convinto che conoscere sua madre fosse una cattiva idea, non per qualcosa contro di lei, ma perchè io e la gente di Newport eravamo il giorno e la notte. E quando cercavo di piacere a loro - ebbene sì, ci avevo provato in un tempo molto remoto - i risultati erano disastrosi, per non dire penosi. Osservai l' espressione di Ellie che sembrava scioccata e incredula per le mie parole. Ecco, lo sapevo, c' era rimasta male per il mio rifiuto, se solo avessi tenuto la mia boccaccia chiusa per una volta. Ma scherzi? Tu sei il ragazzo che ogni mamma sana di mente vorrebbe conoscere.. sei carino, gentile, intelligente.. penso che la mia ti rapirebbe, se potesse. la guardai in modo piuttosto strano, inarcando un sopracciglio. Quello che disse non poteva che farmi piacere visto che erano tutti complimenti, ma non rispecchiavano proprio quello che ero io. Insomma, ogni madre di Newport non avrebbe mai voluto conoscere un tipo come me che oltre tutto era anche amico di suo figlia. D' un tratto mi fermai, sia con i gesti che con i pensieri... aveva sul serio detto carino? Sì, lo aveva detto, non avevo sentito male o frainteso, no, aveva proprio detto quell' aggettivo. Sorrisi imbarazzato, abbassando lo sguardo per terra, non ero abituato a ricevere un complimento da una ragazza che mi piaceva. "O-ok... conoscerò tua madre. Ma se va male, io ti ho avvertita.." dissi tornando a guardarla divertito e preoccupato al tempo stesso. Avrei conosciuto sua madre, e chissà forse mi sarebbe potuta anche piacere visto che non era proprio di Newport, ma di Burbank. ohi ohi.. Grazie per avermelo detto subito eh! Ti diverti alle mie spalle, ammettilo! sorrisi divertito, non potevo che esserlo nel vedere il suo bel faccino sporco di gelato praticamente dappertutto. E adesso che cominciò a pulirsi in realtà non fece che peggiorare la situazione, solamente quando utilizzò il fazzoletto di carta rilegato attorno al cono riuscì a pulirsi. "Mi dispiace, non volevo interromperti.. E poi sembrava donarti tutto quel gelato sparso per la faccia." dissi con tono ironico non riuscendo più a trattenere una risata, era chiaramente una presa in giro, ma in senso buono. Era incredibile scoprire quanto fosse bello passare del tempo con lei, e non solo perchè mi divertivo a sfotterla, non so cosa ma sentivo che avevamo qualcosa che ci accomunava. Appena conclusi la frase notai che era rimasto un po' di gelato nella zona tra la punta del suo naso e il labbro superiore. Senza dirle niente, portai la mia mano sulla sua guancia e con il pollice gli tolsi lo sporco dal labbro, adesso sì che era perfettamente pulita. Asciugai il mio dito sporco di gelato sul mio fazzoletto di carta - o quella che ne era rimasto - e lo buttai nel cestino accanto a noi. Vedi, questo è il karma! Ma dato che sono una brava e buona ragazza.. ti cedo la mia parte di stracciatella e mi mangio la tua di pistacchio. Che ne dici? Questa era una bellissima, anzi straordinaria, idea. Cominciai a realizzare che il pistacchio non mi era mai andato a genio, e probabilmente era colpa di questo gusto se l' intero gelato adesso mi disgustava. La guardai un attimo perplesso, solo perchè a me faceva schifo non volevo sottrargli il suo gelato, mi sarei sentito in colpa. Ma nello stesso tempo non potevo proprio continuare a mangiare quel gelato, così - visto che lei aveva lasciato intatta la parte di stracciatella e sembrava proprio apprezzare il pistacchio - finii per accettare. "Ci sto.. ma devi spiegarmi come cavolo fai a mangiare questo miscuglio. E' terribile.." dissi sorridendo con uno sguardo incuriosito, davvero non mi spiegavo come facesse, era piuttosto coraggiosa la ragazza. Afferrai il suo cono mentre con l' altra mano gli porgevo il mio e, una volta che lo afferrò anche lei, cominciai a leccare il suo cono di stracciatella che era molto, ma molto, meglio.



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    Nella mia breve vita, avevo avuto un solo ragazzo. Che, innanzitutto, non era un mio coetaneo e , di conseguenza, era certamente più navigato di me. Con Jake non mi ero mai dovuta trattenere, nè nascondere i miei sentimenti, semplicemente per il fatto che lui stesso era sempre stato esplicito e chiaro nel farmi intendere quello che voleva. Perciò potete capire quanta fatica facessi, in quel momento, a guardare Noah che rideva, mentre mi toglieva del gelato dalle labbra, senza poter reagire. Era una novità, per me, quel sentirmi in dovere di stare al mio posto, costringermi a non saltargli addosso con una certa veemenza per fargli capire esattamente cosa mi passava per la testa. Ma lui era diverso: così timido e riservato. Stava cominciando ad aprirsi solo adesso, con me e avevo la paura folle che se avessi fatto anche solo un passo in avanti, lui ne avrebbe fatto uno indietro. E probabilmente l'avrei perso ancora prima di cominciare. Non mi andava di rischiare solo perchè i miei ormoni da diciassettenne erano in subbuglio. "Mi dispiace, non volevo interromperti.. E poi sembrava donarti tutto quel gelato sparso per la faccia." abbassai lo sguardo istintivamente quando mi appoggiò una mano sulla guancia, per aiutarmi a ripulirmi da disastro che avevo fatto con il gelato. Sicuramente il suo era stato un gesto istintivo ed ero l'unica a fantasticare su un possibile suo significato nascosto. Mi fissai le scarpe per un tempo quasi interminabile - due secondi - risollevando gli occhi quando finalmente tolse la mano. Faceva caldo o sbaglio? Sì.. sì bè.. uso il gelato come maschera di bellezza. Dicono che purifica la pelle o una cosa del genere.. dissi, distendendo contemporaneamente le labbra in un sorrisetto poco convinto, che avrebbe dovuto sottolineare l'ironia della battuta. Ma probabilmente agli occhi di Noah doveva sembrare più il sorriso colpevole che si dipinge sul viso di un bambino dopo che si è fatto pipì addosso. E in quel momento, credetemi, mi sentivo esattamente così. In imbarazzo per le cose che stavo pensando tra me e me, per quelle voglie che provavo, quasi avessi paura che Noah potesse leggermi nella mente e scoprire tutto. "Ci sto.. ma devi spiegarmi come cavolo fai a mangiare questo miscuglio. E' terribile.." Per fortuna, c'era la questione del gelato a risolvere i miei problemi. Quelle disquisizioni su quanto fosse orribile l'abbinamento stracciatella-pistacchio mi davano modo di distrarmi, pensare ad altro. Allungai una mano per prendere il suo cono, concedendogli il mio, sul quale era appunto rimasto solo il gusto più dolce. Mh.. i miei fratelli quando ero piccola mi hanno sempre preso questo abbinamento di gelato. Posso dire che è tutta colpa loro.. e almeno quella era la verità. Avevo mangiato quel doppio gusto per anni e quando finalmente ero diventata abbastanza grande per scegliermi da sola il mio gelato, avevo continuato su quella strada. Sincermanete parlando, non avevo quasi mai preso altri gusti, forse un paio di volte nella vita. Presi a gustarmi quello che rimaneva del gelato di Noah, staccandomi dalle sbarre per voltarmi verso il mare, dando a lui le spalle. Per quanto mi facesse piacere passare del tempo con lui, chiacchierare e ridere, sentivo in quel momento l'urgente bisogno di correre a casa, liberarmi di quei vestiti e di un costume da bagno che non avevo usare per fare il bagno e lanciarmi sotto un bel getto d'acqua fresca. Forse avevo preso troppo sole quella mattina, ecco il problema. Seh. Sarà il caso che mi avvii verso casa.. mia madre penserà che sono annegata.. piegai la testa di lato, girandola appena per poter incontrare nuovamente lo sguardo di Noah. Diedi un'altro 'morso' al gelato, arrivando al cono. Ormai avevo quasi finito. Mi chinai appena in avanti, andando a recuperare lo zainetto che avevo appoggiato tra i miei stessi piedi, sistemandomelo su una spalla. Se ti va mi puoi..accompagnare per un pezzetto. Io abito più all'interno, non voglio farti allontanare troppo.. niente non riuscivo proprio a mollarlo. Accidenti a me e alla mia boccaccia. Giocherellai con i miei stessi piedi, in attesa della sua risposta, pronta a filare via nel caso fosse stata negativa. Insomma, magari aveva altro di meglio da fare, che venire via con me. Ecco.

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