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Bartoski's House - Ellie&Noah

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    Negli ultimi quattro giorni, avevo camminato su quel vialetto - un insieme ben curato di grosse pietre regolari - con un umore che andava via via peggiorando, passando dallo stranito al depresso man mano che passavano le ore. Era cominciato tutto il lunedì precedente, quando alla prima lezione - quella di storia - che avevo in comune con Noah l'avevo salutato in preda ad un attacco di allegria acuta e lui mi aveva risposto con un cenno. Un cenno. Cercate di capirmi, non sono una che pensa subito al peggio. Così, per quella mattinata, il mio pensiero era che potesse essergli successo qualcosa a casa. Non sapevo praticamente niente della sua situazione familiare e allo stesso tempo non mi sentivo ancora abbastanza in confidenza per rompergli le scatole obbligandolo a raccontarmi i suoi problemi. Così mi ero fatta un po' da parte, seguendo le mie lezioni senza stargli troppo addosso, lasciandolo respirare. Quando poi era arrivato il mercoledì e la situazione non era cambiata, allora era cominciato a venirmi il forte sospetto che il problema non fosse la sua famiglia o qualche bullo a scuola. Il problema ero io. Probabilmente avrei dovuto capirlo subito, ripensando a come si era defilato all'improvviso sul pontile, il sabato precedente, lasciandomi quasi impietrita a guardarlo andare via, con il mento che mi arrivava alle ginocchia. Se avevo detto o fatto qualcosa di male, chiaramente non me ne ero accorta. Il punto, il vero motivo per cui ora camminavo sul vialetto d'ingresso di casa mia con un'espressione scura e corrucciata sul volto, era che me l'ero presa. Ebbene sì: inconsciamente e senza poterne fare a meno mi ero offesa per il fatto che Noah, invece di parlarmi e spiegarmi cosa stava succedendo, si fosse limitato ad ignorarmi quasi completamente. Anche per quello, durante uno degli intervalli di quella stessa mattina, lo avevo bloccato in corridoio, senza permettergli di filarsela via. 'Vieni a casa mia oggi? Mia madre è in vena di torte. E se te la senti a me servirebbe proprio un ripasso per il compito di matematica, sai quello di settimana prossima' In realtà non ne avevo bisogno, i calcoli erano qualcosa in cui mi sentivo abbastanza preparata, ma non voglevo lasciargli alcuna possibilità di rispondermi con un No. Mentre ripensavo alla sua espressione, stupita per quell'invito - aggressivamente - rinnovato, mi voltai verso di lui, che mi seguiva sul vialetto, standomi alle spalle. I vicini hanno già minacciato di chiamare la polizia, un paio di volte ironizzai, riferendomi alla musica che arrivava dalla casa e che Noah doveva per forza aver sentito. Mia madre aveva la tendenza, quando si trovava da sola a casa, ad accendere la radio a tutto volume, soprattutto quando doveva mettersi ai fornelli. La faceva compagnia, probabilmente. Tornai a voltarmi dall'altra parte, raggiungendo la porta d'ingresso, superati tre gradini in mattone rosso, lo stesso colore delle pietre che formavano il vialetto. Mi tolsi lo zaino dalle spalle, rovistando all'interno dello stesso finchè tra le mani non mi capitarono le chiavi, che utilizzai velocemente, aprendo entrambe le serrature. Vista da fuori quella non sembrava affatto una casa di Newport Beach. Mio padre l'aveva scelta apposta: relativamente piccola, su un piano solo, lontana dalla spiaggia, con una struttura anni '20 che la rendeva più simile ad una villetta di campagna. L'ideale per chi non vuole dare troppo nell'occhio, pur vivendo nella comodità. Alle piante e al giardino ci pensava mia madre e il tocco femminile si vedeva: grandi cespugli di rose e gerani rossi, piccoli arbusti ricoperti di bacche coloratissime - e probabilmente tossiche, non c'è da scherzarci -. Aprii la porta, facendo scattare la serratura, facendo un cenno verso Noah per invitarlo a seguirmi, per poi mettere un piede all'interno. Mà? Mà? dovetti chiamarla un paio di volte, alzando la voce, per superare il volume della musica. Richiusi la porta alle spalle di Noah, togliendomi le scarpe da ginnastica senza nemmeno slacciarmi le stringhe, limitandomi a sfilarle via utilizzando punta e tallone. Non c'era da stupirsi se dopo due mesi di tale uso e consumo, mi si rompevano sempre. Mettiti pure comodo, ok? Adesso vado a dire alla padrona che non siamo in discoteca e di abbassare il volume.. dissi, osservandolo con attenzione. Faticavo a rimanere arrabbiata con lui, ma ancora non mi ero tolta dalla testa gli ultimi quattro giorni in cui mi aveva totalmente ignorata. Ma non aveva speranze: io sapevo torchiare le persone come nemmeno un detective della polizia sapeva fare. Il che significava che, volente o nolente, avrebbe dovuto sputare il rospo e dirmi cosa non andava. Lo lasciai all'ingresso, che dava direttamente sul soggiorno, avviandomi alla grande porta scorrevole che divideva quest ultimo dalla cucina. Sapevo che mia madre era in quella stanza, bastava sentire il profumo dolce nell'aria per capire che si era messa ai fornelli già da un po'.

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    Ultimamente mi stavo comportando in modo strano con Ellie, dovevo ammettere che l' ultima volta al pontile qualcosa mi aveva bloccato e fatto chiudere in me stesso eliminando ogni piccolo passo in avanti che avevo cominciato a fare. Probabilmente se ne era accorta anche lei che avevo qualcosa che non andava, insomma quando mi capitava di vederla nel corridoio di scuola cercavo di cambiare strada per evitarla, quando invece avevamo delle lezioni in comune e non potevo fare a meno di incrociare il suo sguardo mi limitavo a salutarla con un cenno non troppo convinto. E questa cosa non mi faceva stare bene, mi rendeva nervoso e impaziente. Quando la vedevo a scuola la prima cosa che volevo fare era avvicinarmi a lei, parlarci e di certo non scappare come un codardo. Ma ero costretto in un certo senso a farlo: lei mi aveva voltato le spalle, e non intendevo fisicamente, avevo intuito qualcosa in quel gesto, come un segno che mi volesse avvertire che continuare a frequentare Ellie avrebbe significato vedere un' altra persona di una certa importanza voltarmi le spalle. Non che lei era importante per me, la conoscevo appena, ma mi piaceva davvero, un' attrazione che andava ben oltre l' aspetto fisico. Ad ogni modo, adesso mi ritrovavo a casa sua, invitato forzatamente da lei che appena mi vide a scuola non mi diede neanche la possibilità di rifiutare. Sì, avrei rifiutato di andare a casa sua anche se al pontile avevo deciso di accettare, ma come facevo a dirle di no davanti a tanto entusiasmo? Insomma, più i giorni passavano e più mi comportavo da stronzo, più le cose con Ellie peggioravano perciò mi ero convinto che dovevo mettere un punto alla questione, risolvere il mio problema una volta per tutte. Arrivato a casa, sentii subito un rumore provenire da lontano, anche se non riuscivo a distinguere da quale abitazione provenisse. Non ero mai stato in questa parte di Newport, forse c' ero passato in macchina quando dovevo andare fuori città, ma non mi ero mai soffermato nell' interno di Newport. Casa mia stava praticamente sulla spiaggia e la scuola non era poi così distante. I vicini hanno già minacciato di chiamare la polizia, un paio di volte.. Sorrisi divertito dalla sua frase ironica, il sarcasmo era una delle cose che più mi piacevano di lei e che ci accomunava. Mi limitai a seguirla molto cautamente, ero parecchio agitato e non per il problema con Ellie, ma per la madre o chiunque avessi trovato lì dentro. Da fuori la casa sembrava molto accogliente, certo era la metà della mia in fatto di grandezza, ma il prato curata e la facciata frontale mi piacevano molto. Mia madre aveva il pollice verde e visto che non lavorava si occupava molto della casa, dal punto di vista estetico perchè delle pulizie se ne occupava chi di dovere. Aveva provato diverse volte a trasmettermi la passione per la natura e il giardinaggio, ma con scarsi risultati. Mà? Mà? Mettiti pure comodo, ok? Adesso vado a dire alla padrona che non siamo in discoteca e di abbassare il volume.. trattenni a stento una risata per il modo in cui aveva chiamato sua madre. Io non ero da meno, a dire il vero a volte le affibbiavo nomignoli che a lei non piacevano per prenderla in giro, ma raramente la chiamavo mamma. La osservai mentre si toglieva le scarpe con il solo aiuto dei talloni e le punte, era così comica e unica al tempo stesso, era difficile anche da spiegare, l' unica cosa che sapevo era che mi piaceva, e non poco. Accennai un sorriso mentre mi guardavo attorno, scrutando meglio l' interno della casa. Mi avvicinai al mobile del salotto dove erano poggiate e messe in mostra delle foto di famiglia, che ritraevano delle persone a me sconosciute ma riuscii a distinguere una bambina - l' unica - dai capelli rossi, inconfondibile. Era Ellie quella, non c' erano dubbi, aveva la stessa espressione sorridente che spesso era stampata sul suo volto. Io, da piccolo, ero molto ma molto più bruttino, forse perchè odiavo le foto e ogni volta che mi puntavano la macchinetta fotografica addosso facevo delle espressioni a dir poco strane.



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    Poi devi spiegarmi dove hai pescato quella foto della piantina xD
     
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    Attraversai la porta scorrevole, approdando direttamente in cucina. Era un locale grande, spazioso, arredato con i migliori elettrodomestici: mia madre aveva scelto personalmente ogni mobiletto, ogni ripiano, persino i quattro sgabelli da bar anni cinquanta che si trovavano attorno al tavolo, vicino ad una delle due finestre. Quello era il suo regno. La osservai per un istante, mentre muoveva le gambe a ritmo di musica, intenta a mescolare qualcosa in una ciotola di plastica. Dal profumo avrei potuto scommettere su una torta al cioccolato, ma potevano benissimo essere biscotti. In quanto a dolci non la batteva nessuno e io ancora mi chiedevo, dopo quasi diciott'anni, come avevo fatto a non trasformarmi in una sottospecie di barile, viste le colazioni, le merende e gli spuntini iper calorici che lei sfornava quasi tutti i giorni. Allungai una mano avvicinandomi al tavolo, sul quale aveva appoggiato una radio portatile, girando la manopola del volume per abbassare la musica. Fu per questo, che si girò verso di me, con la ciotola in mano. "Ellie! Non ti ho sentito entrare.. com'è andata a scuola, tutto bene? Hai parlato con il professore di letteratura per quell'interrogazione?" le andai incontro, rivolgendole un sorriso quanto più radioso potevo. Avevo la testa ancora rivolta a Noah e al fatto che negli ultimi tre giorni non mi avesse degnato di una parola. Speravo solo che lei non si accorgesse di questo mio malumore, non prima che potessi parlare a Noah faccia a faccia. Tutto bene mamma.. ho portato un amico, Noah. Ti ricordi che te ne avevo parlato? dissi, prendendola per un gomito, tirandola un po', in modo che lasciasse sul ripiano della cucina la ciotola con l'impasto per i dolci e mi seguisse in salotto. Ho parlato con il prof, tutto risolto continuai poi, lasciandole andare il braccio, tornando con lei alla porta scorrevole che dava sul soggiorno, per incontrare nuovamente con lo sguardo la figura di Noah. Sembrava interessato alle foto di famiglia che avevamo sistemato, con una certa cura, sul mobile in salotto. Probabilmente era rimasto sorpreso dal mio colore di capelli, quello naturale. In effetti non gli avevo mai detto che ero nata rossa, non bionda. Mamma lui è Noah.. Noah, mia madre.. Abbiamo un po' da studiare.. dici che abbiamo qualche minuto prima della squisitezza, qualunque cosa sia, che stai preparando? chiesi a lei, raggiungendo nel frattempo Noah al mobiletto, aspettando la sua reazione. Quando le avevo parlato la prima volta di quel mio nuovo amico, ero sicura che avesse letto, nel mio entusiasmo, quaslcosa di più della semplice soddisfazione nell'avere qualcuno con cui chiacchierare e farsi due risate. "Noah.. Noah, ma certo! Finalmente Ellie ti ha portato a casa, non faceva che parlare di te!" Ecco, appunto. Abbassai istintivamente gli occhi sul pavimento, incrociando le braccia sotto il seno, tamburellando con un piede come un bambino a cui scappa la pipì. Era inevitabile che mia madre dicesse una cosa del genere: era fatta così, sincera e spiazzante. Quasi tutto quello che pensava finiva per dirlo, nel bene o nel male. "Ma certo, andate pure a studiare.. sto preparando i biscotti. Mezz'ora e sono pronti!" Perfetto, una buona notizia. Annuii, aspettando che i due finissero le presentazioni, tenendo Noah sotto controllo con la coda dell'occhio. Non avevamo da studiare, in realtà: era solo una scusa per poterlo trascinare in camera mia - non pensate subito male eccheè! - e fargli il terzo grado. In quella manciata di secondi, ne approfittai per sciogliermi i capelli, che prima di uscire di casa quella mattina avevo legato dietro la nuca, creando una treccia alta. Non vedevo l'ora di cambiarmi e mettermi vestiti più comodi, da casa, ma prima volevo parlare con Noah. Era un po' troppo presto, con tutta probabilità, per spogliarmi e cambiarmi davanti a lui, quindi la comodità avrebbe dovuto aspettare. Gli feci un cenno con la testa, quando finì di parlare con mia madre, avviandomi verso la porta della mia camera da letto, all'interno della quale buttai senza troppi accorgimenti il mio zaino, che tenevo ancora in spalla. Finì sul pavimento di parquet, mentre il mio sedere prendeva - con un movimente non propriamente elegante - posto sul bordo del letto, con un piccolo tonfo. E' stato così terribile? chiesi, alzando il viso per incontrare quello di Noah, ancora in piedi. Ovviamente mi riferivo al fatto di aver conosciuto mia madre, momento delicatissimo del quale, sul pontile, mi era sembrato abbastanza spaventato.

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    Prendimi pure per pazza, ma l'ho fatta io ieri sera con un programmino su internet xD


    Edited by ‚stoneƒield - 17/9/2012, 19:10
     
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    Quando sparì dietro ad una porta scorrevole presi a vagare per il salotto, cercando di rilassarmi e di mettermi a mio agio. Era facile a dirsi, la verità era che me la stavo facendo addosso, ero parecchio nervoso ed agitato e questo non era mai un buon segno visto come andava a finire ogni volta che lo ero. Noah Hayes che piace ad una madre di Newport? Nah, era piuttosto imprevedibile per non dire impossibile. Ma il problema non era questo, ci ero fin troppo abituato a non piacere alla gente, mi preoccupavo piuttosto di come l' avrebbe presa Ellie, se avesse dato retta a sua madre e avrebbe cambiato tipo di.. amici. Le fotografie che dipingevano una famiglia felice e a dir poco perfetta insieme al profumino di dolci che proveniva da qualche stanza a me sconosciuta mi rendeva un po' più tranquillo. Non ero abituato a quelle cose, a questo tipo di ambiente, mia madre non si metteva mai ai fornelli - per mia fortuna - era un disastro, per questo mangiavamo cibo take-away proveniente dai ristotanti più svariati di Newport. Una sera c' era il cinese, quella dopo la cucina italiana, messicana e così via, facevamo un viaggio interminabile in giro per il mondo quando ci sedevamo a tavola. E la situazione era piuttosto ridicola visto che eravamo solo noi due seduti a tavola, esaurivamo gli argomento ad un certo punto ed era imbarazzante, perciò spesso e volentieri finivo per mangiare in camera mia tra un fumetto e l' altro. Mamma lui è Noah.. Noah, mia madre.. Abbiamo un po' da studiare.. dici che abbiamo qualche minuto prima della squisitezza, qualunque cosa sia, che stai preparando? la voce di Ellie, fin troppo familiare per non riconoscerla, mi distrasse dalle fotografie e mi riportò sulla realtà, quella realtà in cui io mi trovavo a casa sua e davanti a me si era presentata sua madre, una bella donna dalla cui apparenza sembrava gentile. Alternai lo sguardo da Ellie alla madre, accorgendomi in ritardo che ero ancora inchinato per osservare meglio le fotografie. Così, mi alzai di scatto riassumendo una posizione eretta non facendo troppa attenzione a quello che avevo attorno e, in men che non si dica, una cornice che era poggiata sulla credenza del salotto cadde a terra provocando un piccolo tonfo. Lo sapevo!, pensai dentro di me cominciando a detestarmi per la mia goffaggine. Spostai subito lo sguardo sulla cornice appena caduta e l' unica cosa che speravo con tutto me stesso in quel momento era che non si fosse rotta, il che sarebbe stato molto peggio. Mi precipitai a raccoglierla, notando per fortuna che era ancora tutta intera, così la rimisi al suo posto allontanandomi da quel mobile pieno di oggetti troppo pericolosi per un tipo goffo come me. Mi avvicinai a sua madre, porgendole la mia mano in attesa che venisse stretta a dovere. "Noah.. Noah, ma certo! Finalmente Ellie ti ha portato a casa, non faceva che parlare di te!" Sorrisi compiaciuto e incuriosito al tempo stesso, se da una parte questa soffiata ricevuta dalla madre mi poteva far piacere, dall' altra mi chiedevo come facesse Ellie a parlare di me con la madre quando l' ultima volta al pontile mi aveva voltato le spalle, come se fosse infastidita dalla mia presenza. Io le donne non le avrei mai capite, ragionavano in modo troppo contorto persino per un tipo sveglio come me. "E' un piacere, signora!" risposi sfoggiando il tono di voce più appropriato possibile con un sorriso intimidito sulle labbra. "Ma certo, andate pure a studiare.. sto preparando i biscotti. Mezz'ora e sono pronti!" Le rivolsi un ultimo sorriso, dopodiché seguii Ellie che mi aveva appena chiesto di seguirla con un cenno del capo. Così feci, ritrovandomi subito in quella che doveva essere la sua camera da letto. Sì, c' era un letto, una scrivania e tutto il resto che serviva per essere definita una camera. E' stato così terribile? sorrisi piuttosto soddisfatto senza neanche rivolgerle uno sguardo, lei si sedette sul letto così io ne approfittai per andarmi a sedere sulla sedia girevole della scrivania, un ottimo modo per tenerci a debita distanza di sicurezza. "No, è stato... E' stato bello, pensavo peggio, pensavo che mi avrebbe fatto il terzo grado e invece... E' stato bello!" dissi pensieroso con un sorriso compiaciuto mentre alternavo lo sguardo da lei al mobile che avevo di fronte. In realtà, il mio pensiero in quel momento andava alla frase che sua madre aveva detto, ovvero che Ellie non faceva che parlare di me. Ok, le madri di solito esagerano ed io ne sapevo qualcosa, ma l' idea che lei mi avesse pensato era semplicemente fantastica.



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    Muahahaha, ma che brava *--*
     
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    Se Noah si fosse trovato lì, in camera mia, solo la settimana precedente, state pur certi che non avrei avuto quell'espressione seria sul volto. Quasi sicuramente le mie guance sarebbero state rosse per tutto il tempo e avrei sprecato sorrisi a destra e a manca per mascherare l'imbarazzo. Perchè, prima che passasse quei tre giorni ignorandomi completamente, il fatto di stare del tempo da sola con lui in quella stanza era una cosa che mi ero immaginata. Nella mia testolina, senza dire niente a nessuno. Ora, non voglio entrare nei dettagli, ma era bello la sera starmene sdraiata sul mio letto in pigiama a guardare il soffitto, pensando a come sarebbero potute andare le cose con Noah se mi fossi decisa a farmi avanti. E se lui ovviamente avesse ricambiato le mie attenzioni. Invece, quando finalmente il momento era arrivato, ecco che mi trovava arrabbiata. Anzi che dico, furibonda. Chiaramente il suo comportamento era dovuto a qualcosa che avevo fatto o detto, eppure quella che se l'era legata al dito ero proprio io. Non sopportavo l'idea che invece di venire a parlarmi, raccontarmi i suoi pensieri, avesse semplicemente deciso di far finta di non conoscermi. Ero sempre stata il tipo di ragazzina che si affezionava a poche persone, ma con quelle instauravo un rapporto che andava sempre oltre la semplice conoscenza o vaga amicizia: io mi legavo agli altri con una doppia fune ed ero in grado di fare nodi così complicati e articolati che erano quasi impossibili da sciogliere. Prendevo molto sul serio comportamenti come quello che Noah aveva tenuto nei miei confronti: in poche parole mi ero sentita abbandonata. Lo so, lo so, è un'esagerazione, ma non potevo farci nulla. Questo ovviamente non avrebbe giovato alla mia vita adulta, durante la quale perdere persone a cui si tiene, affrontare il distacco diventa quasi la quotidianità. Il mondo dei 'grandi' sarebbe stato per me una vera tragedia. Molto meglio godersi l'adolescenza e le scaramucce fra diciassettenni, finchè si era in tempo. "No, è stato... E' stato bello, pensavo peggio, pensavo che mi avrebbe fatto il terzo grado e invece... E' stato bello!" Ah, com'era carino. Così timido e riservato. Così insicuro e impacciato. Ripeto, fosse stato un momento diverso, mi sarei alzata per raggiungere la sedia girevole e l'avrei baciato. Invece scattai in piedi come una molla, parandomi davanti a lui, ancora seduto. E le mie intenzioni non erano esattamente quello che si può definire "romantiche". Meglio così, sono contenta che tu ti sia goduto questo bel momento. Perchè adesso te lo faccio io il terzo grado! Cosa ti è saltato in mente eh? Avrei voluto parlarti in questi giorni, raccontarti delle cose e tu non mi hai mai nemmeno guardato in faccia! feci una pausa brevissima, giusto per prendere una nuova boccata di ossigeno, Non ti è nemmeno passato per la testa di venirmi a dire cosa non andava? non stavo esattamente urlando, perchè volevo evitare che mia madre sentisse ogni singola sillaba, ma il mio tono di voce non era affatto tranquillo. Avevo parlato a raffica, in puro stile terzo grado, facendogli più domande senza lasciargli tempo e modo di rispondermi tra una e l'altra. Me ne stavo lì, in piedi davanti a Noah con un dito puntato in avanti manco fosse il mio migliore amico da tutta la vita. Queste cose, ovviamente, nascono sempre da un equivoco: lui pensava che gli avessi voltato le spalle per allontanarlo e così facendo le aveva voltate lui a me. Avevo bisogno di una spiegazione, che mi dicesse esattamente cosa avevo fatto o detto di male. A quel punto, gli avrei chiesto scusa e lui avrebbe dovuto fare lo stesso con me. Era così, che sistemavo le questioni, io. Era sempre libero di lasciare casa mia, esattamente come ci aveva messo piede dentro, anche se a quel punto probabilmente il mio povero cuore avrebbe fatto definitivamente crack. Lo guardai dall'alto in basso - quella era l'unica condizione con cui, senza un paio di tacchi da dodici centimetri, potevo essere più alta di lui - aspettando una sua risposta. Una giustificazione. Un valido motivo. Tra parentesi, poteva persino mandarmi al diavolo, volendo. D'altronde chi ero io per fare tutta quella sceneggiata? Sapevo, di non essere nessuno. Ma non mi importava, perchè ormai Noah era qualcuno per me. In pratica era fregato. Respirai a fondo, cercando di ritrovare la calma interiore. Mi autocostrinsi a riprendere posto sul bordo del letto, perchè a quella breve distanza tra me e lui potevano succedere solo cose che avrebbero peggiorato la situazione. In tutta quella cascata di domande mi ero dimenticata di chiedergli se fosse successo qualcosa, sul pontile, per farlo scappare via salutandomi a malapena. Era cominciato tutto quel sabato, ma al momento non riuscivo proprio a collegare le due cose.

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    Potevo considerarmi soddisfatto dell' incontro con sua madre. Ok, mi aveva rivolto solo una frase o due, nelle quali non ci eravamo detti chissà che, ma non c' era male come inizio. Ero assorto nei pensieri quando con la coda dell' occhio mi accorsi che si era alzata in piedi di scatto, facendomi preoccupare. Meglio così, sono contenta che tu ti sia goduto questo bel momento. Perchè adesso te lo faccio io il terzo grado! Cosa ti è saltato in mente eh? Avrei voluto parlarti in questi giorni, raccontarti delle cose e tu non mi hai mai nemmeno guardato in faccia! Non ti è nemmeno passato per la testa di venirmi a dire cosa non andava? La guardai in modo perplesso tutto il tempo in cui parlava, cercavo di capire il motivo della sua reazione e soprattutto cosa stesse dicendo. Insomma, avrei dovuto essere io quello ad avercela con lei e invece mi stava facendo il terzo grado senza alcun motivo. D' accordo, avevo cercato di evitarla in questi giorni di scuola, ma solo perchè non volevo che per lei fossi un peso. Era una sensazione che non potevo proprio sopportare, specialmente da lei. Così, per timore che potesse rivoltarmi le spalle - nel senso più lato del termine - avevo preferito non fermarmi a parlare con lei. E sapevo che non era stato un comportamento maturo il mio, ma ero fatto così, tendevo a tenermi tutto dentro arrivando poi a scoppiare, come stavo facendo adesso. Aspettai che si rimettesse seduta sul letto, era incazzata nera per il comportamento che avevo avuto e a dirla tutta riusciva a mettere un po' di preoccupazione con quel tono adirato. "Io.. pensavo che.. Lascia stare." provai a spiegarle cosa mi tenevo dentro da quella volta sul pontile, ma ogni parole che mi usciva dalla bocca sembrava inadatta. Non ero bravo con le parole, per niente, eppure lei in questo momento si aspettava una spiegazione. Le possibilità erano due: o sceglievo di non rispondere fuggendo da lei e lasciando la casa, oppure sbottare e liberarmi da tutto quello che avevo dentro. Mi alzai di getto, senza neanche pensarci, dalla sedia su cui ero seduto e raggiunsi con pochi passi la finestra che dava sul retro della casa. Non potevo continuare così, a tenermi tutto dentro quando le mie erano solo delle insicurezze. Ero stanco di essere insicuro, di avere paura di parlare e del giudizio degli altri, per stavolta avrei fatto di testa mia fregandomene della conseguenze. Tanto non poteva andare peggio di così, Ellie era su tutte le furie ed io ero convinto di avere le mie ragioni. "Il punto è che non ci capisco niente con te! Prima mi volti le spalle, come se fossi infastidita dalla mia presenza, e poi ti arrabbi se non ti rivolgo la parola." dissi incavolato anch' io stavolta, assumendo un' espressione accigliata. Avevo dimenticato quanto fosse bello e liberatorio sfogarsi con qualcuno, mi faceva sentire più leggero, più... libero. Il problema era proprio questo, ero convinto che il suo voltarmi le spalle avesse significato che non vedeva l' ora di andarsene per non vedermi più, così l' avevo accontentata. E invece no, lei sembrava cercarmi e adesso era addirittura arrabbiata con me perchè le lasciavo i suoi spazi. Portai entrambe le mani dietro la nuca in segno di difficoltà, guardandola mentre mi trovavo in piedi proprio davanti a lei.



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    Con il mio balzo da leonessa ferita l'avevo non poco sopreso. Forse non si aspettava che una come me, sempre con il sorriso sulla bocca e la battuta pronta, fosse anche capace di arrabbiarsi. O forse, altre soluzione probabile, era convinto che di quei tre giorni passati senza parlarci non mi fosse importanto nulla. "Io.. pensavo che.. Lascia stare." credetemi se vi dico che stavo per alzarmi un'altra volta. Questa volta forse sarei ancora arrivata a mettermi in punta dei piedi per dargli un bel pugno di piatto su quella capoccia che si ritrovava. Stava forse dicendo che non potevo capire? Cos'ero, troppo stupida? Non abbastanza intelligente o sensibile? Mettiamola così, fu un bene per lui non darmi il tempo di reagire a quella piccola frase, andando avanti con il suo discorso. Anzi, sbottando quasi con la stessa foga con cui l'avevo fatto io pochi istanti prima, costringendomi a richiudere la bocca che avevo già prontamente aperto per replicare. "Il punto è che non ci capisco niente con te! Prima mi volti le spalle, come se fossi infastidita dalla mia presenza, e poi ti arrabbi se non ti rivolgo la parola." lo guardai ammutolita mentre si avvicinava alla finestra, sbattendo le ciglia con l'aria - ne ero sicura - improvvisamente ebete. Ecco, perchè era scappato, quella mattina al pontile. Io avevo distolto lo sguardo, dandogli le spalle quando mi aveva accarezzato il viso per togliermi le macchie di gelato dalla bocca. Solo che non aveva capito. Non ci era arrivato, al motivo per cui avevo per forza dovuto riprendere un po' di fiato. Hai ragione, non ci capisci proprio niente, Noah.. cominciai, cambiando completamente tono. Potevo essere ancora arrabbiata? No, ovvio. Non mi aveva parlato perchè era convinto, il capoccione, che io in primis non volessi averlo intorno. E non aveva trovato il modo per dirmelo, per farmelo capire, preferendo allontanarsi. Forse era più indolore come soluzione, dal suo punto di vista. Mi alzai in piedi, abbandonando la mordida consistenza del materasso, raggiungendolo di fronte alla finestra. Ero.. in imbarazzo, ok? Quel giorno, al pontile. Non riuscivo a respirare. Per questo mi sono voltata. dissi, stringendomi nelle spalle, guardando fuori dalla finestra, che dava sul retro del giardino. In base al periodo dell'anno tenevo sul davanzale vasetti con dentro piante diverse, ma in quei giorni mi ero totalmente dimenticata anche della mia minuscola serra all'aperto. Non ero sicura che, messa in quel modo un po' criptico, la mia frase fosse arrivata alle orecchie di Noah con il suo significato esplicito. Bastava leggere tra le righe, ma lui era già in difficoltà per conto suo e l'impressa poteva rivelarsi più che ardua. Dal canto mio, mi sentivo sollevata, nell'avergli detto quelle precise parole. Non solo perchè così gli avevo spiegato le mie motivazioni - sperando che questo gli facesse passare le idee che si era messo in testa - ma anche perchè mi ero tolta come un sassolino dalla scarpa. Era giusto che sapesse, l'effetto che mi faceva, quando si avvicinava troppo. O mi guardava troppo a lungo o mi sorrideva con quel suo fare impacciato. Tornai con lo sguardo sul suo viso, inarcando un sopracciglio per vedere se aveva capito. Se aveva ben chiaro o meno quello che gli avevo appena detto. Ora che la rabbia era scemata - in maniera abbastanza repentina bisogna ammetterlo - nel ritrovarmi di fronte i suoi occhi nocciola, così confusi dalla sfuriata che gli avevo fatto solo un paio di minuti prima, sentii nuovamente quella cosa. Presente? E' quasi impercettibile, come quando il cuore perde un singolo battito. Non sai bene spiegarti il perchè, ma in quel momento sei costretto a deglutire a vuoto per tornare a respirare. Chissà, forse era solo la mia immaginazione e quel groppo che mi sentivo in gola in realtà era semplice asma. Comunque dubitavo che una spruzzata di cortisone avrebbe fatto passare quella sensazione. Anche se l'asma effettivamente poteva venirmi sul serio: sarebbe bastato che lui si fosse messo a ridere. Oppure che mi avesse guardato con sguardo fintamente impietosito. A quel punto, il mio imbarazzo e la distruzione del mio ego - un ego abbastanza prorompente in realtà: ecco perchè mi sembrava così strano, farmi avanti per prima - sarebbero stati al loro apice.

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    Quando inizialmente avevo optato per tenermi tutto dentro come al mio solito e non dirle cosa mi passava per la mente, riuscii appena a sentire un sospiro da parte sua che fece per aprire la bocca ma io, con il mio sfogo liberatorio, la zittii. Ero in piedi, nella sua camera, a guardare fuori dalla finestra distrattamente, sperando che non avesse sentito quello che le avevo finalmente confessato. Avevo appena finito di parlare che già mi pentii di avere aperto bocca, probabilmente per timore di una sua brutta reazione. Ma allo stesso tempo mi continuavo a dire che non dovevo essere io quello a sentirsi in difetto visto che era stata lei a voltarmi le spalle. Sì, ero piuttosto permaloso, era una delle mie caratteristiche principali che diverse volte avevo cercato di modificare ma senza buoni risultati. Hai ragione, non ci capisci proprio niente, Noah.. al suono delle sue parole mi voltai verso di lei per cercare di capire se fosse ancora arrabbiata con me. Non lo sembrava affatto, mi aveva appena confermato che non ci capivo niente ma la sua espressione mi diceva che c' era dell' altro. Così rimasi ad osservarla mentre mi raggiungeva vicino alla finestra. Ero.. in imbarazzo, ok? Quel giorno, al pontile. Non riuscivo a respirare. Per questo mi sono voltata. Inarcai d' istinto un sopracciglio, come se non credessi a quelle parole. E non per una mancanza di fiducia nei suoi confronti, ma per il semplice fatto che non potevano essere vere. Non poteva avermi voltato le spalle perchè era in imbarazzo, perchè altrimenti significava che le piacevo, il che era piuttosto improbabile se non impossibile. Non le tolsi gli occhi di dosso, neanche quando lei guardò fuori dalla finestra. Ero.. stupito e confuso in questo momento, perciò rimasi in silenzio cercando di non prendere troppo sul serio le sue parole. "Come, scusa? Eri in imbarazzo per me?" chiesi con un tono di voce incredulo. Stavolta volevo essere sicuro di aver sentito bene, l' agitazione e la rabbia a volte giocavano brutti scherzi perciò era meglio assicurarsi di non aver sbagliato a sentire. Una vocina antipatica, dentro di me, in quel momento mi suggerì di starmene zitto e baciarla, per mettere fine una volta per tutte a quel desiderio che avevo avuto sin dalla prima volta in cui la vidi. Un' altra vocina, però, che doveva rappresentare la mia parte razionale, mi suggeriva espressamente di non fare mosse azzardate che avrebbero potuto compromettere il nostro rapporto. Ero nel pallone, non sapevo cosa fare e soprattutto non volevo sbagliare. Alzai gli occhi al cielo, portando una mano dietro la nuca, segno di completo imbarazzo. D' istinto mi allontanai da lei andandomi a sedere sul bordo del letto dove poco prima era seduta lei. "Non mi piace quando qualcuno mi volta le spalle, mi fa sentire... rifiutato e abbandonato." dissi dopo alcuni secondi di silenzio con un tono di voce basso e intimidito, in cui ero indeciso se aprirmi un po' di più con lei spiegandole i veri motivi per la mia chiusura, oppure no. E alla fine aveva prevalso l' istinto, per una volta. "Lo so che può sembrare esagerato, ma se avresti un padre come il mio allora capiresti." aggiunsi spiegandole meglio la mia situazione, alzai poi lo sguardo su di lei cercando con i miei occhi i suoi.



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    "Come, scusa? Eri in imbarazzo per me?" questa volta fui io, a guardarlo confusa. Non aveva capito. O forse più semplicemente le mie parole gli sembravano così assurde da non poter avere il significato che invece avevano. Forse avrei dovuto semplicemente dirgli come stavano le cose, a costo di dovergli descrivere per filo e per segno le sensazioni non esattamente pudiche che mi affollavano cuore e testa quando lo vedevo. In quel modo non avrebbe più avuto dubbi e sarebbe stato un gran passo avanti. Perchè mi veniva così difficile dirgli due paroline in croce, mi piaci, che tra l'altro mi rimanevano sempre bloccate in gola come un rospo che non riuscivo a mandare giù. Perchè semplicemente non le tiravo fuori, mettendo fine a quella situazione non poco snervante? Vai a capire come funziona il corpo umano. Il cuore vorrebbe tanto fare una cosa ma la mente talvolta è così forte e così razionale da riuscire a bloccarlo. Il problema era che, conoscendomi, prima o poi sarei scoppiata. Magari al prossimo sguardo troppo intenso o la prima volta utile in cui ci sarebbe sfiorati per sbaglio. Abbassai lo sguardo un paio di volte, giocherellando con i piedi sul pavimento di parquet, cercando le parole giuste da dire, quelle che potessero suonare il più chiare possibile senza sconvolgerlo troppo. Che già così mi sembrava abbastanza fuso. Ma Noah mi anticipò: mentre mi guardavo i piedi, vidi i suoi che si spostavano, camminando dalla finestra al mio letto, sul quale prese posto, sedendosi. "Non mi piace quando qualcuno mi volta le spalle, mi fa sentire... rifiutato e abbandonato." Buffo. Era esattamente quello che avevo provato io in quei giorni in cui non mi aveva parlato. La mia tendenza ad affezionarmi troppo alle persone portava spesso a conseguenze come quella: appena gli altri si allontanavano, anche solo di un centimetro, io andavo nel panico. Anche se le motivazioni di questo lato quasi soffocante del mio carattere probabilmente erano differenti, rispetto a quelle di Noah. La mia famiglia, infatti, sembrava essere l'esatto contrario della sua: eravamo tutti molto uniti, forse persino troppo. Ero così abituata ad essere sempre circondata dalla presenza fisica e dall'amore dei miei familiari che avevo finito per pretendere la stessa cosa anche nei rapporti sentimentali e di amicizia. Ecco spiegato il motivo per cui con Jake mi ero trovata tanto male, anche se me ne ero accorta un po' in ritardo, quando il danno ormai era fatto. Mi allontanai dalla finestra, quasi seguendo i suoi passi, ancora senza sedermi. Non sapevo esattamente cosa fare: se avvicinarmi a lui, o lasciargli il suo spazio. Si stava aprendo un po', fatto alquanto raro, e non volevo dargli l'occasione per zittirsi di nuovo. "Lo so che può sembrare esagerato, ma se avresti un padre come il mio allora capiresti." Quella era la prima volta, che menzionava suo padre. E qualcosa mi diceva che il rapporto tra loro due non doveva essere poi così idilliaco. Se pensavo a mio padre, mi venivano in mente solo cose piacevoli. Il profumo del suo dopobarba quando mi abbracciava, i biglietti che mi lasciava la mattina prima di andare a lavoro, il nostro rito del venerdì pomeriggio - cioccolata calda davanti ad un film -. Non potevo nemmeno lontanamente immaginare quanto potesse essere spiacevole, avere un brutto rapporto con i propri genitori. alla fine, cedetti, sedendomi al fianco di Noah, sul bordo del letto. Sapevo che quelle parole gli erano costate fatica, glielo potevo tranquillamente leggere sul viso. Mi dispiace, Noah. Se può farti sentire meglio.. iniziai la frase, voltandomi un po' verso di lui, allungando una mano per raggiungere la sua, quella più vicina. Avevo bisogno di fargli capire che c'ero. Che non doveva dubitare, di me. .. non ti volterò più le spalle, non succederà più. Non ho alcuna intenzione di rifiutarti o.. abbandonarti. Ecco, quella non era esattamente una dichiarazione d'amore, ma era la cosa più simile, ai sentimenti che provavo in quel momento, che ero riuscita a tirare fuori. Terminai la frase rimanendo in silenzio, senza fargli ulteriori domande. Non volevo rigirare il coltello nella ferita chiedendogli nuovamente di suo padre, era libero di parlamente quando e come avrebbe preferito. Per fortuna mia madre sta facendo i biscotti. Mi sa che ne abbiamo bisogno.. dissi, dopo qualche istante, accennando un sorriso. Avevo ancora la mia mano sulla sua e a dir la verità non avevo alcuna intenzione di spostarla. Stava bene lì dove stava.

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    La mia insicurezza era talmente grande che di primo getto non riuscivo a credere alle sue parole. Certo, non si era proprio dichiarata ma comunque era in imbarazzo per me, e credetemi la cosa era veramente strana visto che ero abituato ad essere IO quello in imbarazzo con praticamente tutte le ragazze carine. Le avevo anche spiegato, o meglio accennato, qual' era la situazione con mio padre. Era colpa sua se ogni volta che qualcuno girava le spalle semplicemente per tornarsene da dov' era venuto io dentro di me lo rifiutavo categoricamente, interrompendo qualsiasi tipo di rapporto era instaurato fino a due minuti prima. Era chiaro che era un mio problema, ma se l' avessi detto a mia madre lei mi avrebbe sicuramente mandato da uno psicologo e non avevo alcuna voglia di raccontare i fatti miei ad uno sconosciuto con la puzza sotto al naso. Quello che mi ci sarebbe voluto era un confronto diretto con mio padre, nel quale gli avrei detto tutto quello che avevo dentro da quand' ero piccolo urlandogli in faccia e spaccando qualcosa, solo così avrei superato la cosa. Mi dispiace, Noah. Se può farti sentire meglio.. .. non ti volterò più le spalle, non succederà più. Non ho alcuna intenzione di rifiutarti o.. abbandonarti. Era la prima persona che sapeva di questo mio disagio, chiamiamolo pure così. Ma una cosa era certa, io non volevo la compassione di nessuno, specie quella sua, non doveva evitare di voltarmi le spalle solo perchè questo mi avrebbe fatto chiudere in me stesso. Ad ogni modo, apprezzavo davvero le sue parole, non sembrava che volesse rifiutarmi e mi aveva spiegato cosa le passava per la testa quel giorno al pontile. Solo che qui subentrava un altro problema, la fiducia. Sarebbe stato vero che non mi avrebbe voltato le spalle abbandonandomi? Questo era un altro mio disagio che proveniva dal rapporto burrascoso con mio padre, ero diventato diffidente verso chiunque mi si presentava davanti, era più forte di me non riuscivo a fidarmi di nessuno. Quando sentii la sua mano poggiarsi sulla mia, mi girai verso di lei trovandomi il suo viso vicino. Istintivamente il mio sguardo cadde sulle sue labbra, mai quanto questo momento desideravo baciarla, assaporare le sue labbra dopo tanto tempo di attesa. Per fortuna mia madre sta facendo i biscotti. Mi sa che ne abbiamo bisogno.. La madre! Quasi mi ero dimenticato che non eravamo da soli in casa, e che per giunta stava preparando i biscotti. Beh, ad essere sincero non è che mi interessassero più di tanto i biscotti in questo momento, ero concentrato su.. altre cose. "Coraggio, Noah! Adesso o mai più." cominciai a ripetermi dentro di me, incoraggiandomi. La paura di un rifiuto c' era ed era bella grossa, ma al tempo stesso volevo baciarla più di qualunque altra cosa e se non l' avessi fatto me ne sarei pentito amaramente tornandomene a casa. Aprii la mano distanziando le dita, consentendo così che le sue si incrociassero con le mie; chiusi poi la mia mano nella sua stringendogliela appena. Annuii riferendomi ai biscotti, forse ne avevamo davvero bisogno affinché tutto questo non succedesse, ma io non ne ero tanto convinto. Mi avvicinai ancora di più a lei fino ad arrivare a toccare la sua fronte con la mia, mentre con gli occhi mi perdevo nei suoi. Lo voleva anche lei o stavo semplicemente facendo una cazzata di cui me ne sarei pentito per il resto della mia vita? Non feci niente, non ero così sicuro cosa lei sentisse o provasse perciò volevo darle l' opportunità di decidere, non mi sarei stupito se mi avesse scansato o mi avesse tirato uno schiaffo. Eravamo uno di fronte all' altra, i nasi che si sfioravano e le nostre labbra ad una piccola distanza che avrei voluto eliminare all' istante.



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    Quando piegò la testa verso di me e ci ritrovammo occhi negli occhi, ebbi un istante di ripensamento. Anzi, più che ripensamento era un vero e proprio tuffo al cuore: gli avevo appena fatto una promessa che - avendolo appena conosciuto - forse era persino più grande di me. Eppure quelle parole mi erano uscite dalla bocca arrivando dritte dal cuore, spontanee e semplici. Come fosse assolutamente naturale e quasi un po' banale il fatto che gli sarei stata vicina sempre, quando ne avrebbe avuto bisogno e anche quando non. Se fossimo diventati amici, amici veri, avrei potuto continuare a vederlo, a stare con lui, pur sapendo perfettamente cosa mi passava per la testa e il motivo per cui il cuore mi batteva con quel ritmo sincopato? Il dubbio, così come era venutò, si dissipò nell'istante stesso in cui Noah aprì le dita della mano per intrecciarle alle mie. Anche quel movimento, sembrava naturale, come se tra un dito e l'altro ci fosse giusto lo spazio per la mia mano, leggermente più piccola. Lo vidi annuire alla mia frase - decisamente fuori luogo, argh - sui biscotti, mentre si avvicinava con la testa fino ad appoggiare la fronte contro la mia. Quella era una sensazione - l'attesa, il groviglio di farfalle nello stomaco, il groppo in gola - che con Jake non avevo mai provato: ero convinta che tutti i rapporti, che tutte le storie sentimentali fossero esattamente come era stata la mia. Diretta, senza tante allusioni, senza tante difficoltà. Decisamente poco romantica e più materiale, spiccia. Mi sbagliavo, e alla grande anche. Battei le palpebre un paio di volte, ritrovandomi i suoi occhi nocciola così vicini, per non parlare del respiro che sentivo sulla pelle. Il mio, di respiro, doveva essersi bloccato, il che avrebbe spiegato la lieve sensazione di capogiro che stavo provando in quel momento: non mi arrivava più ossigeno al cervello. Mi costrinsi a riattivare quella piccola ma fondamentale attività - respiratoria - mentre le mie dita si stringevano, quasi per inerzia a quelle di Noah. Non era una situazione fraintendibile, quella: ero convinta, più semplicemente, che avesse timore di concludere per primo. Che già trovare la forza di farsi avanti in quel modo fosse stato un passo da gidante, per lui, e che adesso volesse lasciarmi l'opportunità di decidere. Eccheccavolo! Io avevo già deciso da giorni, ormai. Aspettavo solo l'occasione giusta e difficilmente se ne sarebbe presentata una migliore di questa. Piegai leggermente la testa, separando momentaneamente le nostre fronti, andando ad appoggiare le labbra sull'angolo destro della sua bocca, per poi spostarmi maggiormente verso il centro. Mi sentivo stranamente intimidita, come se Noah fosse un quadro, una tela delicatissima da non rovinare buttandocisi subito sopra a capofitto. Forse il mio movimento così lieve era dovuto anche al fatto che mi conoscevo perfettamente: se mi fossi lasciata prendere subito dalla foga e dalle sensazioni che mi arrivavano direttamente dall'afflusso extra di sangue in giro per il corpo, non mi sarei più fermata. Nemmeno con mia madre nella stanza di fianco. Catturai per un istante le sue labbra tra le mie, prima di separarmi nuovamente da lui, tornando ad osservarlo negli occhi. Non mi rendevo nemmeno conto del colore che avevano preso le mie guance, normalmente pallide. "Ecco.. questo era un un po' che volevo farlo.." dissi, accennando un sorriso, sollevando di poco la mano libera per andare ad accarezzargli una ciocca di capelli dietro l'orecchio. In realtà, quello che avevo fatto in quella manciata di secondi ancora non mi bastava - avevo aspettato abbastanza da immagazinare dentro di me una certa scorta di voglia - ma non avanzai nuovamente. Volevo solo lasciargli il tempo di accettare la cosa. Che l'avevo baciato e non rifiutato. Che quello che provavo io era chiaro e forte, senza dubbi o contraddizioni. Appoggiai nuovamente la fronte alla sua, mordicchiandomi distrattamente un labbro mentre tenevo lo sguardo basso ad osservare le nostre due mani intrecciate. Anche quella, per me, era una cosa abbastanza nuova. I piccoli gesti, gli sfioramenti, le carezze, erano semplicemente estranee al mio modo di vivere quell'unico rapporto che avevo avuto nella mia vita. Era incredibile come invece mi venisse automatico e quanto trovassi piacevole tutte le piccole cose, i movimenti, gli sguardi, i respiri un po' bloccati. Dannatissimo Jake, mi aveva fatto sprecare la mia prima volta e il mio primo amore per niente.

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    Edited by ‚stoneƒield - 3/10/2012, 22:37
     
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